Bruno Caccia era Procuratore Generale di Torino al momento della sua morte e stava indagando su traffici di ‘ndrangheta in Piemonte.
L’onestà, l’intransigenza, il rispetto delle regole, il rispetto della legge , la strenua convinzione che la legge è uguale per tutti, l’ imparzialità totale, senza riguardi per nessuno. furono causa della sua morte.
Nella sentenza di condanna dei mandanti del suo omicidio c’è scritto «….Egli poté apparire ai suoi assassini eccessivamente intransigente soltanto a causa della benevola disposizione che il clan dei calabresi riconosceva a torto o a ragione in altri giudici. Perché questo clan aveva ottenuto in quegli anni la confidenza, la disponibilità o addirittura l’amicizia di alcuni magistrati».
Bruno Caccia venne ucciso la notte del 26 giugno del 1983 mentre portava fuori il cane. Venne affiancato da una macchina con due uomini a bordo che senza scendere gli spararono 14 colpi e per essere sicuro lo finiro con tre colpi di grazia,
Per quanto rigurda le indagini riporto l’estratto preso da Wikipedia:
Sui mandanti dell’omicidio, subito le indagini presero la via delle Brigate Rosse: erano gli anni di piombo e per di più le indagini di Bruno Caccia riguardavano in presa diretta molti brigatisti. Il giorno seguente, le Brigate Rosse rivendicarono l’omicidio, ma presto si scoprì che la rivendicazione risultava essere falsa. Inoltre nessuno dei brigatisti in carcere rivelò che fosse mai stato pianificato l’omicidio del magistrato cuneese. Le indagini puntarono allora l’attenzione sui neofascisti del NAR, ma anche questa pista si rivelò ben presto infondata. L’imbeccata giusta arrivò da un mafioso in galera, Francesco Miano, boss della cosca catanese che si era insediata a Torino. Grazie all’intermediazione dei servizi segreti, Miano decise di collaborare per risolvere il caso e raccolse le confidenze dell’ndranghetista Domenico Belfiore, uno dei capi dell’ndrangheta a Torino e anch’egli in galera. Belfiore ammise che era stata l’ndrangheta ad uccidere Bruno Caccia e il motivo principale fu che “con il procuratore Caccia non ci si poteva parlare”, come disse lo stesso Belfiore. In aggiunta, va detto che l’ndrangheta ha da sempre controllato, in Piemonte, molti ristoranti, imprese edili, bar e addirittura era arrivata a mettere le mani sul bar del Palazzo di Giustizia dove Bruno Caccia lavorava. Le indagini del magistrato cuneese si rivelarono troppo incisive e troppo dannose per la sopravvivenza dell’ndrangheta in Piemonte, tanto da spingere i Belfiore a ordinare l’uccisione del magistrato.
Come mandante dell’omicidio, nel 1993 Domenico Belfiore venne condannato all’ergastolo.
La memoria di Bruno Caccia, al pari di quella di Antonino Scopelliti, è stata largamente e vergognosamente abbandonata, specialmente nella terra dove egli nacque e morì tragicamente. In pochi infatti ricordano tutt’oggi il suo sacrificio e questo a causa della poca sensibilità che il nord ha riservato al tema della mafia. Nonostante di recente la magistratura di Torino abbia avviato delle indagini su presunte infiltrazioni ‘ndranghetiste in diverse amministrazioni pubbliche, la lotta all’ndrangheta in Piemonte da parte dei cittadini è ancora lontana dal suo nascere.
Un ricordo di Bruno Caccia nella commemorazione del 2001 nel Palazzio di Giustizia di Torino tenuta da Marcello Maddalena