Per i suoi cent’anni riporto l’intervista fatta da Concita de Gregorio pubblicata il 31/12/2008 sull’Unità
Il 2009 dista un secolo dall’anno in cui è nata. Con Rita Levi Montalcini le intervista non scientifiche sono “conversazioni, perché dovrebbe avere la gentilezza di non chiedermi di parlare di cose di cui non so. Tutt’al più ne possiamo conversare”.
I suoi “non so” hanno una densità formidabile e portano sempre lontanissimo. Esempi. La crisi dell’economia. «Non saprei dirle con esattezza le differenze tra questa e quella del ’29. Nel ’29 avevo vent’anni e mi ricordo bene il senso di spaesamento, di sorpresa. Si ebbe la sensazione che si fosse all’improvviso rotto un meccanismo. Tutto quello che fino a un attimo prima c’era ed era facilmente accessibile non funzionava più, era scomparso. Come se un sistema apparentemente solido fosse in realtà evanescente. Le leggi dell’economia, mi chiesi allora, sono davvero leggi come le altre della scienza? Se sono fondate sull’osservazione, questo solo basta a dire che si ripetono senza tener conto del mutare degli uomini? Non so, si dovrebbe chiedere Krugman». Le vengono sempre in mente, come consulenti da chiamare al telefono, altri Nobel. Anche nei frammenti di memoria. «Certo che l’aereo è una grande conquista del secolo ma non la principale, non direi proprio. Ci si è sempre spostati comunque, l’aereo non ha fatto che accorciare i tempi. Lo definirei tutt’al più uno strumento utile. Nel ’40 andai in America in nave e fu un viaggio bellissimo. Ero con Dulbecco. Ricordo con precisione le nostre lunghe conversazioni serali. Ne scaturì molto: certo per me, spero per entrambi. In aereo non sarebbe stato possibile, avremmo probabilmente scambiato qualche battuta e ci saremmo presto appisolati. Ma mi dica, cara signora: di che cosa vorrebbe conversare?».
Noi vorremmo, senatrice, che fosse lei a introdurci nell’anno del suo centenario. Che ci parlasse di quel che più l’ha sorpresa, amareggiata e rallegrata, di quello che più le resta nei pensieri del 2008 che abbiamo attraversato. Vorremmo parlare del passato e del futuro e intanto festeggiarla un poco, che compiere un secolo facendo progetti per il futuro non è cosa da tutti. Chi collabora con lei ci racconta che dorme pochissimo e lavora tutte le ore del giorno. Che trascorre il suo tempo nei laboratori e sui libri, che è impossibile sorprenderla in disordine: sempre indossa abiti e gioielli bellissimi.
«Non potendo cambiare me stessa cambio gli abiti. È un piccolo gesto quotidiano di rispetto verso chi incontro. Del sonno non sento il bisogno, alla mia età è frequente. Quanto all’anno che si è appena concluso spero di esserle utile ma per me il tempo ha una scansione più dilatata e più contratta insieme: un anno di cento è piccola cosa, capisce, rispetto a un anno di venti, o di quaranta. Tuttavia può anche essere un tempo lungo e prezioso, se penso per esempio che in questo anno le borse di studio per bambine e giovani donne africane della mia fondazione sono divenute 6700 e arriveremo a diecimila, spero, l’anno venturo».
Perché l’Africa, senatrice?
«Perché guardi che cosa abbiamo fatto in Africa, dagli anni del colonialismo in poi. Guardi come l’abbiamo violentata e usata. Distrutta. Una tragedia spaventosa. Abbiamo preso le loro ricchezze e speculato sulle debolezze che abbiamo contribuito a creare. Abbiamo molto da restituire, molto risarcimento da pagare. In istruzione, certo. L’unica salvezza possibile per le genti di ogni luogo è l’accesso alla cultura».
E perché le donne?
«Perché le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale delle società. Pensi al nostro Occidente. Ho appena scritto un libro dedicato ai ragazzi, l’ho pubblicato con una casa editrice per giovani. Ne sono fiera. L’abbiamo intitolato “Le tue antenate”. Parla di donne pioniere. Quelle che hanno dovuto lottare contro pregiudizio e maschilismo per entrare nei laboratori, che hanno rischiato di vedersi strappare le loro fondamentali scoperte attribuite agli uomini, che si sono fatte carico della famiglia e della ricerca. Lei conosce Emily Noether, la fondatrice dell’algebra moderna?»
C’era un teorema…
«Lei, quella del teorema. Nel ’33 il nazismo la escluse dalle università in quanto ebrea, fu costretta a riparare negli Stati Uniti».
Anche lei da ragazza dovette restare chiusa in casa, nascondersi. Ne parlava nel suo incontro con Ingrid Betancourt: le vostre prigionìe.
«Ah sì ma c’è molta differenza. Ingrid Betancourt ha sofferto moltissimo e ha patito gravi stenti. Io sono sempre rimasta completamente indifferente al razzismo antiebraico, è vero che durante il fascismo dovetti restare a lungo nella mia stanza, che tuttavia era una stanza e non la giungla. È anche vero che molti fascisti venivano a trovarmi e che è stato lì, in quella stanza, che è nato il seme della mia ricerca. Ho sempre saputo che non esistono le razze, il cervello degli uomini è lo stesso. Esistono i razzisti. Bisogna vincerli con le armi della sapienza. Di Ingrid Betancourt ho apprezzato la dolcezza nella forza. La fragilità e la forza vanno spesso insieme, ha notato? Non si dà l’una senza l’altra».
Il cervello degli uomini, lei dice, è sempre lo stesso.
«Ma certo, si possono avere dubbi? Degli uomini e delle donne, è evidente. La differenza tra uomo e donna è epigenetica, ambientale. Il capitale cerebrale è lo stesso: in un caso è stato storicamente represso, nell’altro incoraggiato. Così pure tra popoli. È sempre un dato culturale. Per fortuna le donne stanno raggiungendo ciò che era stato loro precluso. Ha conosciuto Vandana Shiva? Una fisica teorica formidabile, indiana. Le ho dedicato l’ultimo capitolo delle pioniere. Le donne hanno incredibili potenzialità. Ha conosciuto Hillary Clinton?».
Solo in occasioni ufficiali.
«Che peccato. Una donna energica e molto competente. Certo questo non mi ha impedito di tifare per Obama alle primarie. Nella scelta fra un presidente donna e un nero di origine africana ma non c’era proprio dubbio, assolutamente nessun dubbio di cosa fosse da preferire per il progresso della civiltà. Certo dico a parità di competenze professionali. Obama è uno straordinario salto in avanti in un secolo in cui, lo ricordo bene, quando si sedeva in autobus accanto ad un nero si doveva alzarsi. A me è accaduto nel corso del mio primo viaggio negli Stati Uniti. Non riuscivo, sul momento, a comprendere il senso dell’invito».
Se lei avesse vent’anni a disposizione a quale nuovo studio si dedicherebbe?
«Se ne avessi due o cinquanta, è lo stesso. Al cervello, ovviamente. L’universo che è dentro ciascuno di noi. C’è forse un altro tema più interessante? Scoprire il funzionamento della mente. Se fossimo capaci di far rientrare in Italia i nostri giovani ricercatori, se questo paese sapesse investire sulle energie straordinarie dei suoi studiosi, quelli che abbiamo visto manifestare per strada contro i tagli alla ricerca, ecco. Questo sì che sarebbe un investimento. L’Italia ha sempre prodotto grandissimi risultati, ha menti eccelse. Cabibbo, lo conosce?, un uomo eccezionale. Che strano che non abbia avuto il Nobel, no? L’hanno dato a tre giapponesi, ho visto. Sapesse che meraviglia sono le ragazze, le giovani ricercatrici che lavorano nel mio centro».
Lo studio del cervello ci aiuta anche a decifrare i comportamenti collettivi? Lei per esempio cosa può dire alla luce delle sue ricerche del fondamentalismo, del terrorismo, delle dittature?
«Il cervello spiega tutto. Bisogna partire da qui. Il nostro modo di comportarci è più emotivo che cognitivo. Esiste un centro arcaico del cervello, limbico: non ha avuto nessuno sviluppo dall’australopiteco ad oggi, è identico. È la sede dell’aggressività. Il cervello limbico ha salvato l’uomo quando è sceso dagli alberi, gli ha consentito di difendersi e combattere. Oggi può essere la causa della sua estinzione».
L’aggressività ha sede in un cervello limbico collettivo?
«Il cervello è individuale. Ma è certo che i totalitarismi, le dittature, i fondamentalismi hanno sempre fatto appello alle pulsioni arcaiche dell’uomo. Hanno puntato sulla prevalenza del sistema arcaico su quello cognitivo. L’evoluzione culturale alimenta la neocorteccia. E’ per questo che l’unico vero antidoto ai sistemi totalitari è la cultura. La conoscenza. I fondamentalismi si servono del cervello arcaico e lo strumentalizzamo. La neocorteccia, il cervello del linguaggio e della cognizione, deve prendere il comando sul cervello arcaico per controllare la fase emotiva e primitiva del comportamento».
Lei crede che nell’uomo in assenza di attività cerebrale possa esserci vita degna di questo nome?
«Certo che no. Quando il cervello non funziona la vita dell’uomo è finita. La povera Eluana Englaro ha diritto ad una fine con dignità, come chiede suo padre. La sua vita si è conclusa da molti anni».
Torniamo al sapere come antidoto delle dittature. Nell’Islam dei fondamentalisti alle donne è inibito lo studio. Le studentesse in molti Paesi sono minacciate e aggredite. Vede in questi comportamenti la conferma della sua teoria sulla “strumentalizzazione del cervello arcaico”?
«Le religioni sono materia delicatissima. Certo è che la disparità di trattamento fra uomo e donna è grande nelle culture in cui la religione inibisce alla donna l’accesso al sapere. Per me che sono di religione ebraica il sapere è stato un grande strumento di democrazia sostanziale. È dato a tutti allo stesso modo, cancella le differenze di sesso, di censo e di età. Come può verificare dai miei scritti ci sono donne straordinarie che hanno dato risultati eccezionali per il solo fatto di aver avuto accesso, nella loro epoca, alla conoscenza alle altre negata. Poi certo in altre epoche hanno avuto accesso allo studio solo le donne di classi sociali agiate. Avevano l’insegnamento a casa».
Lei legge romanzi? Conosce scrittori contemporanei?
«Il più grande scrittore del mio tempo è Primo Levi. Un monumento all’Homo sapiens. Dopo “Se questo è un uomo” è difficile trovare un testo di altrettanto spessore. Fu sua sorella Anna Maria, che ho conosciuto a casa di amici nel ‘47, a regalarmelo. Primo aveva la capacità che nei libri della mia infanzia erano attribuiti ai talismani delle fate. Lui non trasformava serpenti in agnelli, faceva di più: sapeva far rivivere la realtà vissuta e sofferta con milioni di altri nei lager nazisti senza suscitare nel lettore una totale sfiducia nel genere umano. Ci sono poi altri libri che amo e spesso rileggo. Uno è “Il medioevo prossimo venturo” di Roberto Vacca».
Se avesse potuto frequentare più assiduamente un uomo del suo tempo su chi avrebbe fatto cadere la scelta?
«Ma non c’è dubbio. Albert Einstein. Il segreto della creatività risiede nella curiosità, nella mente che rimane bambina, diceva. Un grande insegnamento. Restare bambini. Oltretutto (ride) anche Einstein appartiene alla cosiddetta razza inferiore…come me».
Qual è stata a suo parere la più grande invenzione o scoperta del secolo? Un farmaco? Uno strumento di diagnosi?
«Ma no, è stata senza dubbio Internet. L’informatica. I nuovi Magellano dell’era digitale. La comunicazione globale. Ma come mai mi chiede questo, lei non usa Internet?».