La 'ndrangheta delle case rosse

Qui si passa solo se sei del giro. Allora pensi che quell’entrata secondaria dietro a un parcheggio d’auto (la maggior parte bruciate) ti possa dare una mano. Superi il muretto. Calpesti bustine di plastica e stagnola: dosi di coca, divise in pippate, vanno a 50 euro a busta. Alzi lo sguardo e ti ritrovi nel mezzo di quattro palazzi alti dieci piani. Qui le chiamano case rosse. I ragazzini stanno sulle panchine. Sembrano innocui, il più grande avrà quindici anni. Tenti un approccio. Un passo e sono spariti. Chi sullo scooter chi a piedi: lo sguardo torvo, i jeans a vita bassa. Cinque minuti e ritornano accompagnati dai grandi. Uno indossa la tuta: raso bianco verde. Più che robusto è grasso, avrà cinquant’anni, porta occhiali di Valentino. Dietro si trascina un pit bull poco amichevole. Lui è il boss. Non deve nemmeno parlare. Capisci al volo e te ne vai alla svelta.
Gomorra a Milano. Succede. Come a Scampia. Ma, qui, non ci sono libri né film a denunciarlo. Succede tra viale Sarca 361 e viale Fulvio Testi 304 in un quadrato di terra e cemento, ghiacciato d’inverno, rovente d’estate con questi quattro palazzi-torre a chiudere i perimetri di un quartiere dove gli onesti vivono sotto assedio. Qui non si parla e ci si fa i fatti propri. Perché qui la paura puzza di ‘ndrangheta e ha nomi e cognomi: Carlo, Andrea e Salvatore Porcino, tre fratelli-boss, originari di Melito Porto Salvo in provincia di Reggio Calabria. Loro sono i padroni di questo posto: 216 alloggi, gestione Aler, edilizia popolare anni Settanta, ma solo 36 abusivi, anche se in realtà lo sono tutti, ma chi lo è stato in passato ha avuto il condono e ora vive da regolare.
I Porcino, ad esempio, sono regolari. Abitano nei palazzi che affacciano su viale Fulvio Testi e hanno case con mobili di lusso, vasche idromassaggio e tv al plasma. Hanno i soldi, potrebbero trovarsi posti migliori, ma stanno qua, perché qua sono temuti e rispettati. Questione da antropologia criminale.
Nei fatti della cronaca, invece, la droga resta il prodotto di punta. Lo spaccio viene organizzato in maniera capillare con i Porcino al vertice e a pioggia i vari luogotenenti, cavalli, pusher a gestire il mercato al dettaglio. Si acquista in strada o nelle cantine controllate dalle vedette. Ogni notte gli agenti del commissariato Greco-Turro intervengono. L’ultimo blitz pochi giorni fa: accompagnati in sei, tutti giovanissimi e tutti zitti. Nessuno parla. Meglio la galera. Una volta fuori i capi li sapranno ricompensare.
E’ mafia a Milano. In contatto diretto con la Calabria come dimostra un’indagine della procura di Reggio. Reset il nome dell’inchiesta. A firmarla Nicola Gratteri, uno dei magistrati più esperti in fatto di ‘ndrangheta. Si tratta di un’indagine lunga e difficile, iniziata nel 2004 e conclusasi, per la parte calabrese, il 10 luglio scorso. Decine d’arresti tra Melito Porto Salvo e Reggio Calabria, al centro un traffico di droga gestito da uomini della potente cosca dei Libri che domina il quartiere Cannavò a Reggio Calabria.
Le intercettazioni, però, corrono veloci tra la Calabria e Milano. Perché qui al nord c’è il fornitore: Andrea Porcino nato a Melito Porto Salvo il 27 settembre 1972, attualmente residente in viale Fulvio Testi 304. Lui, che resta libero ma indagato (come anche Giovanni Battista Castellano e Miriam Braidic, appartenente a una famiglia di zingari in affari con i Porcino), è uno dei tre fratelli delle case rosse. Il pm Gratteri lo ritiene il contatto diretto di Antonino Idotta, uomo di fiducia del boss Pasquale Libri.
I Porcino e la ‘ndrangheta. Con le case rosse come luogo perfetto per concludere gli affari. E’ il 14 gennaio 2007. Antonino Idotta e il suo braccio destro Massimo Romeo sono a Milano. Hanno appuntamento con Porcino, ma non trovano la strada. «Siamo qua all’Ipercoop in viale Sarca», dicono. «Al primo semaforo girate a destra», risponde l’altro. I due, però, non capiscono e aggiungono dettagli alla loro posizione. «Qui dice Breda». Prosegue Porcino: «Venite dritto, poi a destra, dove c’è l’ospedale e il chiosco». A quel punto gli altri capiscono: «Istituto clinico sede di via Bignami, ora mi ricordo». Le indicazioni trascritte nei brogliacci delle intercettazioni non lasciano dubbi: basta seguirle per arrivare dritto dritto alle case rosse.
Scrive Nicola Gratteri: «Appare evidente che Porcino fa da intermediario fra un soggetto non identificato e i calabresi nell’acquisto di qualcosa (droga, ndr)». Quando il boss di viale Sarca parla con gli uomini del clan Libri raccomanda puntualità e correttezza: «Siccome vi ha ammirato e vi fa il favore, basta che non faccio brutte figure perché per me dopo siete solo morti e basta».
Insomma Andrea Porcino vuole essere pagato in contanti. Così, quando in viale Sarca si presenta qualcuno con il denaro, la droga, lui la vende subito. Dopodiché al telefono spiega: «Siccome c’è stato un imprevisto è venuto un amico e gliel’abbiamo dovuta dare a lui che ci ha dato tutto liquido». La telefonata è datata 14 gennaio 2006. L’incontro con i calabresi salta. L’appuntamento era stato fissato per il 18 gennaio. L’occasione era la partita di calcio Inter-Reggina. «Così – aveva detto Romeo – facciamo una via e due servizi». Per i boss della ‘ndrangheta le partite di calcio restano l’occasione migliore per salire a Milano. E così si replica il 14 gennaio 2007 in occasione di Milan-Reggina. E’ sempre Porcino ad avvisare i compari. «Mi sono arrivate delle belle magliette, tipo scaglie», dice a Idotta.
Droga e mafia, dunque. In viale Sarca è un mix che annulla tutto. Ammette il presidente dell’Aler, Loris Zaffra: «Esiste un reale problema di sicurezza, tanto da impedire anche agli stessi addetti di Aler di compiere i normali sopralluoghi». Dice la signora Luana: «Qui non si vive, si sopravvive». Poi si raccomanda: «Scriva solo il nome, se no passo dei guai». Esce dal portone del civico 361. Si resta solo il tempo per accorgersi che sulla porta delle cantine è stampato un grosso foro di proiettile, mentre i due piani di box sono un’infinita catasta di motori, portiere, gomme. «Qui portano le auto rubate, le smontano e poi rivendono i pezzi», dice un altro inquilino. Poi scompare dietro le scale.

Fonte: “Il Manifesto” del 25-7-2009 di Davide Milosa

One Comment

Lascia un commento