Passi rapidi su per le scale, pistola in pugno e mefisto calato in testa. Due colpi secchi alla porta. Polizia! Attimi di silenzio. Poi la chiave che gira e la tensione che cala. C’è una donna: capelli neri e fisico massiccio. Dietro compare Raffaele Tatone, gli occhi gonfi di sonno e lo sguardo di chi sa che la sua storia, per ora, si chiude qua, al piano rialzato in via Pascarella 33, Quarto Oggiaro, periferia nord di Milano. Poco più che ventenne, ma già boss rispettato, Tatone, secondo i magistrati, è l’ultimo padrino dello spaccio. L’ultimo di una dinastia familiare originaria di Casaluce (Caserta) che parte da nonno Antonio e consorte, più nota come “nonna eroina”, passa per i cinque fratelli Adelina, Mario, Emanuele, Pasquale, Nicola e arriva a lui, Raffaele, inquilino abusivo di uno stabile popolare con arredi da attico in centro. Tatone esce dalla camera da letto, non sembra preoccupato, si infila un giaccone rosso, saluta moglie e figlia, e tra i guaiti del bulldog Sonny si avvia scortato dagli agenti. Pochi istanti e, oltre alla neve che imbianca l’alba, iniziano a piovere insulti ai poliziotti. “Infami di merda”, “bastardi”. Sono i vicini, amici e compari. E’ il tributo che si deve a un capo: uno che, dopo l’arresto dello zio Nicola Tatone, ha rimodellato l’organizzazione, filando la tela dei rapporti con pregiudicati del casertano legati al clan dei Casalesi.
E’ mafia a Milano. Anche se in realtà l’ordinanza con la quale ieri il gip ha firmato 15 arresti parla di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Eppure ben altro emerge dalle oltre 200 pagine di provvedimento. Ad esempio una struttura piramidale con capi, reggenti, luogotenenti, semplici pusher, cavalli della droga e giovanissime vedette. Tutte anime di un unico sistema che ogni mese metteva a bilancio tre chili di cocaina, oltre 200.000 euro di guadagno e il controllo di quattro piazze di spaccio: da via Pascarella a via Concilio Vaticano II.
Il resto è un’aria che agghiaccia, perché racconta di una gomorra silenziosa che, giorno dopo giorno, nel colpevole silenzio delle istituzioni, destabilizza interi quartieri di Milano. Oltre Quarto Oggiaro, verso il Corvetto e più su a Ponte Lambro, ancora in viale Sarca come a Baggio e in Comasina, dove silenzio e omertà sono la tassa da pagare alla ‘Ndrangheta e a Cosa Nostra. Parole, che nella realtà quotidiana si traducono in cognomi di piombo come Porcino, Flachi, Crisafulli, Coco, Trovato. Tutti protagonisti di un comitato affaristico-mafioso che comanda in periferia e ricicla il denaro nei locali della movida di via Valtellina, arrivando fin sotto le guglie del Duomo, dove i tesori della cosca Morabito diventano investimento pulito. Proprio qui, a due passi dall’ufficio di Letizia Moratti, sindaco a tal punto distratto da dire: “La mafia a Milano? Fatemela vedere”.
Insomma, il capoluogo lombardo oggi assomiglia sempre più alla Palermo degli anni Ottanta quando il vero problema non era la guerra di mafia, ma il traffico. E così capita che Gaetano Fidanzati, superlatitante di Cosa Nostra, venga arrestato in via Marghera, zona di shopping e boutique, oppure che nell’ultimo anno e mezzo si siano registrati quattro omicidi di mafia. Il tutto qui, nella futura capitale di Expo 2015, evento attesissimo dai clan, ma che distrae da un presente che reclama attenzione. Un presente composto, oltre che da politici colpevoli, anche da storie di vittime coraggiose, come quelle di due donne le cui dichiarazioni hanno fatto da volano per l’inchiesta di Quarto Oggiaro. Perché a Milano come a Napoli o a Reggio Calabria la mafia nasce sulla povertà. Eccole le loro parole: “Da qualche tempo mi trovo in difficoltà economiche, in quanto ho due figli di 9 e 12anni e sono separata. Emanuele Tatone è venuto nel mio appartamento in via Pascarella e mi ha proposto di tenergli in casa un grosso quantitativo di droga, in cambio mi ha promesso 1.500 euro al mese. Ho nascosto la droga nella cameretta dei bambini”. E ancora: “Raffaele Tatone mi chiese di fare da imbosco per la crema. Avendo necessità economiche, in quanto ho due figli, un mutuo e lavora solo mio marito, seppure molto timorosa ho deciso di accettare”.
Fonte : Il Fatto quotidiano del 18/12/2009 di Davide Milosa