Fonte: Il Manifesto del 24/2/2010 di Davide Milosa
«La Piana è cosa nostra, facci capisciri». Aldo Micichè, faccendiere con residenza a Caracas, parla chiaro. Lui, ex democristiano, non ha dubbi. Prosegue: «Ricordati che la politica si deve saper fare e quindi fagli capire che in Calabria dove si muove ha bisogno di noi. E quando dico noi intendo Gioacchino e Antonio». Breve glossario: Antonio e Gioacchno Piromalli sono i giovani eredi di una delle cosche più potenti della ‘ndrangheta. L’interlocutore di Micichè, invece, è un tale Arcidiaco, tuttofare dei boss. Mentre il destinatario del messaggio è il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. Siamo nel dicembre 2007. Si parla delle prossime politiche. «E certo non per caso – scrivono i magistrati – all’onorevole Dell’Utri, Arcidiaco avrebbe dovuto dire: “Ho avuto autorizzazione di dire che gli possiamo garantire Calabria e Sicilia”». Insomma, voti in cambio di favori. Nello specifico: «Il maledetto 41 bis». Fatti e parole sono contenuti nell’inchiesta Cent’anni di storia, conclusa dalla procura di Reggio Calabria nel luglio 2008.
È solo un esempio di come le relazioni pericolose tra i politici del Popolo della libertà ed emissari delle ‘ndrine negli ultimi anni si siano fatte più strette. Un dato che trova conferma, ad esempio, nella vicenda del comune di Fondi in provincia di Latina, travolto, nel luglio scorso, da un’inchiesta antimafia che ha portato in carcere, oltre ai fratelli Tripodo legati alla ‘ndrangheta, anche un ex assessore di Forza Italia, nonché alcuni dirigenti e funzionari pubblici.
Ancor più inquietante la vicenda del comitato politico-mafioso scoperta due giorni fa dalla procura di Milano nel comune di Trezzano sul Naviglio. Un intreccio decisamente complicato che, attraverso un vorticoso giro di mazzette, mette insieme gli affari della cosca Papalia, gli interessi di un intraprendente immobiliarista come Alfredo Iorio e un sottobosco di uomini pubblici che dal consigliere locale del Pdl Michele Iannuzzi, passava per un ex sindaco Pd, fino a sfiorare la poltrona dell’assessore regionale Pdl Stefano Maullu. In sostanza, Iorio otteneva a suon di tangenti appalti per la sua Kreiamo spa, società definita dai pm il braccio finanziario della ‘ndrangheta.
Scenari, quelli milanesi, che hanno il cattivo odore di una nuova tangentopoli, ma questa volta aggravata dall’ombra della ‘ndrangheta. E ciò è tanto vero se si pensa che, a differenza di Roma e del Lazio, in Lombardia sono diverse le indagini che coinvolgono uomini politici del Comune, della Provincia e della Regione. Si tratta insomma di una permeabilità diffusa che parte dall’hinterland, dove il sospetto, scrive il giudice, è quello di una «pianificazione urbanistica metodicamente collegata a dazioni di denaro». Ipotesi che prende spunto dalle stesse parole di Iorio, per il quale «nella zona di Vimodrone c’è Nuccio con tutto il suo; qua c’è Michele nella parte di Trezzano; qua, a Corsico c’è Tonino; a Gaggiano c’è Enrico Baj, a Cusago il sindaco».
Iorio non cita Buccinasco. Poco male, perché in questo paese ad alta densità mafiosa, attualmente governato dal sindaco Pdl Loris Cereda, almeno due appalti pubblici sarebbero andati a un’impresa i cui titolari sono ritenuti organici alla cosca Barbaro-Papalia.
Ma la ‘ndrangheta si sta muovendo anche nel Consiglio comunale di Milano, anche qui sempre sul fronte Pdl e con l’obiettivo di ottenere cambi di destinazione a terreni che entreranno nel nuovo Piano di governo del territorio. Mentre in Regione da mesi gli occhi sono puntati sull’assessore Pdl Massimo Ponzoni, già sfiorato dall’inchiesta su Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche lombarde accusato di aver creato fondi neri per oltre 300 milioni di euro. Su Ponzoni ora, però, peserebbero alcune intercettazioni telefoniche con un imprenditore vicino alla ‘ndrangheta arrestato per un traffico illecito di rifiuti. Dopodiché c’è sempre quell’Alessandro Colucci, attuale vice coordinatore provinciale del Pdl, candidato alle prossime regionali come già nel 2005 quando, poco prima del voto, fu filmato a una cena milanese con il boss della ‘ndrangheta Salvatore Morabito. Allora Colucci fu eletto e i boss commentarono così la vittoria: «Abbiamo un amico in Regione!».