La stanza dei grandi

Di Sara Castiglioni.
Hai quattordici anni. La politica. Bah. Sì, ne ho sentito parlare, sì me ne dovrei interessare, sì lo so, lo so che sono il futuro del paese, sì. Che paroloni però.
Poi ne hai sedici, e incuriosito per la prima volta ti inginocchi e sbirci dalla serratura. Inizi a tendere un po’ l’orecchio per ascoltare i discorsi dei tuoi, discorsi dalla quale spesso dipendi, perché dai, diciamocelo: sedici anni segui la maggioranza.
Ed ecco i venti. I venti sono il traguardo. Sì, a diciotto puoi votare, vero, ma te ne importa ancora poco. Ma i venti. I venti sono il momento in cui non guardi più dalla serratura, non fai solo capolino dalla porta. Entri proprio. Entri nella stanza dei “grandi” e cerchi di capire quello che succede. Chi parla, chi decide, come decide. Che poi, cosa si decide? Poni domande, discuti, magari segui anche qualche comizio, così, tanto per. Leggi i giornali, ti informi. Sei entrato nella stanza e hai preso posto in una comoda poltrona di chintz da cui puoi ascoltare e, seppur nel tuo piccolo, intervenire.
La cosa più bella, però, è che ti senti al sicuro. Tu puoi vedere e ascoltare ogni cosa, puoi dare un tuo contributo, certo, ma sai che, anche se tu per un po’ rimani in silenzio, la conversazione continuerà ad essere portata avanti da quei “grandi” con tanta esperienza.
Ma cosa succede, se non hai quella sicurezza?
Cosa succede quando un ventenne si trova di fronte a persone che dovrebbero dimostrare competenza, esperienza, ma non lo fanno?
Nella stanza tutti urlano, nessuno si ascolta, la gente si insulta. Eccoli paonazzi che si alzano dalle sedie per poter urlare meglio, a pieni polmoni. Non solo tu non riesci più a capire, ma nessuno ascolta te.
Eppure, la gioventù, sei pieno di entusiasmo. Scatti in piedi, ti sbracci, alzi la voce, tocchi timidamente la spalla di qualcuno per richiamare l’attenzione, ti spazientisci, urli. E qualcuno prima o poi si accorge di te, ti fa un po’ di spazio, e se proprio non riesce a far sì che gli altri ti ascoltino, almeno ti fa urlare con lui.
Hai trovato il tuo posto.
Ma quando entri nella stanza e, malgrado tutta la tua buona volontà, il tuo entusiasmo e persino la tua sfrontatezza, non trovi nessuno da guardare, con occhi attenti, curiosi, fiduciosi, quella è una sconfitta.
Abbattere in partenza la passione dei giovani per la politica, è una sconfitta.
Alcuni demordono, gettano la spugna, altri ovviamente continuano senza darsi per vinti. Ma quelli che mi spaventano di più, sono quelli che si trovano in imbarazzo.
Eh sì, proprio in imbarazzo. Perché credi fermamente nel tuo diritto-dovere di votare, aspetti da anni di poter esprimere la tua partecipazione, il tuo sostegno al candidato, eppure, sul momento, ti ritrovi talmente spiazzato da chi hai davanti che non sai chi votare. Strenuo sostenitore del “voto al meno peggio” per poter comunque esercitare il voto. Ma quando persino il “meno peggio” inciampa, anzi, ruzzola letteralmente giù dal monte, allora inizi a pensare davvero che potresti non votare. E non per indifferenza e nemmeno per rassegnazione. Per amara delusione, per dolore. Il problema non è che la politica al momento sia decadente, forse proprio fatiscente, perché finchè ci sono persone disposte a cambiare la situazione con passione e impegno, tutto può risolversi. Il problema è quando persino questa passione viene soffocata.
Soffocare la passione in un ragazzo di vent’anni, questa è la sconfitta.

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