Ecco il testo della lettera che Franca Peroni e Maurizio Scarpa componenti dell’area “La CGIL che vogliamo” hanno mandato alla Segreteria nazionale confederale ed alle categorie nazionali Funzione Pubblica e Filcams CGIL, con la quale comunicano la decisione, di rimettere il loro mandato da tutti gli incarichi sino ad oggi ricoperti in CGIL. Sono le motivazioni che condivido e che mi hanno portato qualche mese fa a disdettare la mia tessera FIOM. Oltre al testo della lettera che potete leggere qui sotto potete ascoltare l’interessante intervista a Maurizio Scarpa
“Compagne e compagni,
per rispetto alla Organizzazione, nella quale per molti anni abbiamo militato, vi informiamo della
nostra volontà di rimettere il nostro mandato da tutti gli incarichi sino ad oggi ricoperti in CGIL.
Da oggi non saremo più militanti di questa organizzazione sindacale e rinunciamo alla nostra
condizione di iscritti alla CGIL.
Una decisione non facile che è venuta maturando nel tempo.
Il nostro giudizio critico sulla strategia e sui risultati della contrattazione è da tutti voi ampiamente
conosciuto. Non è certo l’ultimo accordo sulla rappresentanza a farci prendere questa decisione
così drastica.
A differenza del giudizio di alcuni compagni e compagne, con cui abbiamo condiviso anni di
militanza nella sinistra sindacale, quanto sottoscritto in questi giorni non ci ha sorpreso perché la
domanda che ci ponevamo non era “se,” ma “ quando” . Il “quando” è arrivato ed è per noi solo
l’ultimo anello di una catena il cui inizio ha radici lontane quando la maggioranza di voi, come
massimo gruppo dirigente di quella che fu la nostra organizzazione, ha acconsentito ad un
progressivo cambio della natura e dei valori della CGIL.
Con un processo, che purtroppo oggi appare irreversibile, si è sempre meno ricercato il consenso
dei lavoratori e delle lavoratrici, degli iscritti e delle iscritte, per dare priorità al rapporto con Cisl,
Uil, Governo, Partito Democratico, Confindustria e associazioni padronali.
Le mediazioni sono parte integrante della natura di un sindacato, ma un’organizzazione che perde la
propria autonomia perde anche la propria rappresentanza.
Questo è il tema centrale del nostro dissenso. Chi e cosa si vuole rappresentare.
Le scelte che si sono operate in questi anni hanno posto al centro della nostra azione interessi che la
quotidianità si è assunta il compito di dimostrare essere stati portatori di una vera e propria
“caporetto sociale”, che ha colpito il vissuto quotidiano degli oltre 20 milioni di lavoratori e
lavoratrici dipendenti che avremmo dovuto rappresentare.
Quando si acconsente che si cancellino diritti, che sono parte integrante della natura dello Stato nato
dalla Resistenza e fondamento della coesione sociale, si snatura anche il ruolo della propria
rappresentanza di Sindacato Confederale e di classe.
Abbiamo vissuto anni dove non si è andati oltre a roboanti quanto inutili dichiarazioni verbali ai
mass media, promuovendo “una tantum” il solitario sciopero annuale.
Nel contempo si è consentito a chi si è succeduto al Governo di vantarsi in Europa di aver
cancellato i più importanti diritti del mondo del lavoro (pensioni, art. 18, contratti collettivi, salario,
estensione della precarietà) senza alcun conflitto sociale.
Naturalmente queste scelte non potevano non avere anche una ricaduta nella vita interna
democratica e nel sistema organizzativo.
L’ultimo congresso è stato la dimostrazione evidente di come per la maggioranza del gruppo
dirigente della CGIL sia intollerabile che una parte dell’organizzazione abbia potuto
democraticamente, all’interno di una pubblica dialettica con gli iscritti e le iscritte, cercare di
modificare l’assetto dei gruppi dirigenti in sintonia con il cambiamento della strategia
dell’organizzazione sindacale.
Cos’è accaduto nel congresso è agli atti, ma ciò che è successo dopo è emblematico. L’umiliazione
e la emarginazione di tutti i dirigenti che hanno sostenuto le tesi alternative, dove solo le “abiure”
di quelle posizioni hanno consentito, dove non si era maggioranza, di mantenere un ruolo politico
nell’organizzazione.
In questi ultimi quattro anni nessun accordo siglato dalla CGIL è stato portato alla consultazione dei
lavoratori e lavoratrici interessate (quando nel passato paradossalmente abbiamo fatto le
consultazioni anche sugli accordi separati mobilitando milioni di persone).
La ricchezza della CGIL è sempre stata la ricerca della sintesi.
In questi ultimi anni, al contrario, il settarismo del gruppo dirigente si è crogiolato, attraversando
costanti sconfitte con l’avversario di classe, in un’autoreferenzialità impermeabile.
Se la ricerca del consenso non è più fondamentale nella vita democratica, indispensabili sono le
risorse economiche per la conservazione della struttura interna. Qui si è scelta una via di non
ritorno. Ormai consistenti risorse economiche non provengono dalla libera e cosciente iscrizione dei
lavoratori e delle lavoratrici, ma da altre forme di finanziamento, tutte vincolate o alle decisioni dei Governi (patronati, CAF) o dall’obbligo di sottoscrivere il contratto collettivo (enti bilaterali e quote
di servizio).
In molte federazioni si potrebbe vivere senza iscritti, ma non senza le entrate “extra” tesseramento.
L’impegno assunto anni fa di ridurre drasticamente queste forme di entrate, si è tramutato nel suo
contrario, con un incremento esponenziale, abbracciando definitivamente il modello CISL di
sindacato.
Una decisione tanto grave quanto assunta senza alcuna discussione interna, ma accettando quello
che gli altri ci imponevano.
Da queste parole vi sarà facile comprendere come sia coerente, da parte nostra, prendere atto di una
divergenza strategica che non ci consente di essere ancora parte di questa organizzazione.
Dobbiamo prendere atto che questa organizzazione non è riformabile, che non esistono le
condizioni per cambiare, in un confronto democratico fondato sul rispetto delle regole, la strategia e
il gruppo dirigente.
In tutti questi anni di militanza in CGIL abbiamo condotto convintamente la battaglia per il suo
rinnovamento. Prendere atto dell’impossibilità di una battaglia democratica all’interno di una delle
principali organizzazioni sociali del nostro paese rappresenta per noi la più amara delle sconfitte.
Non sarà però questo a farci desistere dal lavorare per la rinascita di una rappresentanza del mondo
del lavoro, sia sindacale che politica.
Data la nostra non più giovane età cercheremo di contribuire a questo immane progetto, operando
perché nei luoghi di lavoro possa nascere un lavoro collettivo che sappia far uscire dalla profonda
solitudine in cui versano coloro che, per vivere, ogni mattina si guadagnano il pane, superando un
portone che da cittadini li trasforma in sudditi. Senza dimenticare coloro che restano sudditi anche
fuori da quel portone perché il lavoro è loro negato.
Il nostro, con molti voi, vuole essere solo essere un arrivederci”