Fonte : Corriere della Sera del 29 marzo 2022
di Julián Carrón
Professore di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Il fattore umano è decisivo e sorprende chi non credeva che qualcuno è ancora disposto a battersi per la libertà.
Caro direttore, che impressione le immagini della popolazione civile che sventola le bandiere dell’Ucraina davanti ai carri armati! Più ancora degli uomini in armi per un impeto naturale di autodifesa. Che sproporzione! Sulla guerra in corso — «atto barbaro e sacrilego» lo ha definito papa Francesco all’Angelus di domenica 27 marzo — si è scritto molto. Interpretazioni diverse e persino opposte si sono avvicendate. Ma c’è un dato che s’impone e con cui tutte le diverse posizioni sono costrette prima o poi a fare i conti. Quale? La resistenza inaspettata degli ucraini.
Forse la provocazione della guerra in Ucraina non ci ha toccato così da vicino come il Covid, ma le immagini di distruzione, che in Europa pensavamo di esserci lasciate definitivamente alle spalle dopo le due guerre mondiali, ci hanno indubbiamente scosso e non abbiamo potuto evitare di fare i conti con questa scossa, come testimonia la gara di solidarietà nei confronti dei profughi che stiamo accogliendo nelle nostre città. Un mare di carità che riempie di gratitudine.
Come non confondersi però davanti alla quantità di articoli, di dibattiti televisivi e di dialoghi tra di noi che attraversano le nostre giornate? Può aiutarci un suggerimento di metodo: non consentire alla ragione di diventare ab-soluta, cioè slegata dalla realtà, per non lasciarla in balia dell’ideologia. È proprio l’imbattersi della persona nella provocazione della realtà che fa scaturire tutta l’esigenza della ragione, impedendole così di soccombere alle diverse riduzioni. È forse proprio la considerazione del desiderio di giustizia di chi la violenza la subisce che ha consentito a giornalisti come Antonio Polito e Ezio Mauro, per fare due esempi, di smascherare un uso ridotto della ragione e l’equidistanza tra l’io e il potere. Lo diceva magnificamente Vasilij Grossman nel suo Vita e destino: «Il totalitarismo non può fare a meno della violenza. Se lo facesse perirebbe. L’eterna, ininterrotta violenza, diretta o mascherata, è la base del suo potere. L’uomo non rinuncia volontariamente alla libertà. In questa conclusione è racchiusa la luce del nostro tempo, la luce del futuro».
Quella che si sta giocando nell’invasione dell’Ucraina da parte dalla Russia è una lotta che riguarda ognuno di noi. Come possiamo difenderci della pretesa totalitaria del potere? Essendo consapevoli della strategia che usa. Don Giussani la descrive così: «Il suo grande sistema, il suo grande metodo è quello di addormentare, di anestetizzare, oppure, meglio ancora, di atrofizzare […] il cuore dell’uomo, le esigenze dell’uomo, i desideri […], quell’impeto senza confine che ha il cuore. E così cresce della gente limitata, conclusa, prigioniera, già mezzo cadavere, cioè impotente». Per questo, lo ribadisco, l’unico vero argine al potere è il desiderio, e perciò incontri e luoghi che lo sappiano ridestare. Continua Giussani: «L’unica risorsa per frenare l’invadenza del potere è in quel vertice del cosmo che è l’io, ed è la libertà. […] L’unica risorsa che ci resta è una ripresa potente del senso cristiano dell’io, della irriducibilità della persona». Da qui l’affermazione: «Noi non abbiamo paura del potere, abbiamo paura della gente che dorme e, perciò, permette al potere di fare di loro quel che vuole», perché «il potere è tale in proporzione dell’impotenza altrui», della inconsapevolezza dell’io.
Forse la provocazione della guerra in Ucraina non ci ha toccato così da vicino come il Covid, ma le immagini di distruzione, che in Europa pensavamo di esserci lasciate definitivamente alle spalle dopo le due guerre mondiali, ci hanno indubbiamente scosso e non abbiamo potuto evitare di fare i conti con questa scossa, come testimonia la gara di solidarietà nei confronti dei profughi che stiamo accogliendo nelle nostre città. Un mare di carità che riempie di gratitudine.
Come non confondersi però davanti alla quantità di articoli, di dibattiti televisivi e di dialoghi tra di noi che attraversano le nostre giornate? Può aiutarci un suggerimento di metodo: non consentire alla ragione di diventare ab-soluta, cioè slegata dalla realtà, per non lasciarla in balia dell’ideologia. È proprio l’imbattersi della persona nella provocazione della realtà che fa scaturire tutta l’esigenza della ragione, impedendole così di soccombere alle diverse riduzioni. È forse proprio la considerazione del desiderio di giustizia di chi la violenza la subisce che ha consentito a giornalisti come Antonio Polito e Ezio Mauro, per fare due esempi, di smascherare un uso ridotto della ragione e l’equidistanza tra l’io e il potere. Lo diceva magnificamente Vasilij Grossman nel suo Vita e destino: «Il totalitarismo non può fare a meno della violenza. Se lo facesse perirebbe. L’eterna, ininterrotta violenza, diretta o mascherata, è la base del suo potere. L’uomo non rinuncia volontariamente alla libertà. In questa conclusione è racchiusa la luce del nostro tempo, la luce del futuro».
Quella che si sta giocando nell’invasione dell’Ucraina da parte dalla Russia è una lotta che riguarda ognuno di noi. Come possiamo difenderci della pretesa totalitaria del potere? Essendo consapevoli della strategia che usa. Don Giussani la descrive così: «Il suo grande sistema, il suo grande metodo è quello di addormentare, di anestetizzare, oppure, meglio ancora, di atrofizzare […] il cuore dell’uomo, le esigenze dell’uomo, i desideri […], quell’impeto senza confine che ha il cuore. E così cresce della gente limitata, conclusa, prigioniera, già mezzo cadavere, cioè impotente». Per questo, lo ribadisco, l’unico vero argine al potere è il desiderio, e perciò incontri e luoghi che lo sappiano ridestare. Continua Giussani: «L’unica risorsa per frenare l’invadenza del potere è in quel vertice del cosmo che è l’io, ed è la libertà. […] L’unica risorsa che ci resta è una ripresa potente del senso cristiano dell’io, della irriducibilità della persona». Da qui l’affermazione: «Noi non abbiamo paura del potere, abbiamo paura della gente che dorme e, perciò, permette al potere di fare di loro quel che vuole», perché «il potere è tale in proporzione dell’impotenza altrui», della inconsapevolezza dell’io.
Qual è l’oggetto adeguato della nostra libertà, cioè della capacità di soddisfazione totale? Che cosa basta al desiderio che ci muove dal fondo di noi stessi? Solo ciò che è in grado di compierlo. Tutto il resto, anche l’annessione di un’altra nazione, è «poco e piccino per la capacità dell’animo nostro», ci ricorda Leopardi.
Solo una pace all’altezza del cuore dell’uomo potrà essere vera pace, duratura, quella che abbiamo implorato con tutta la Chiesa venerdì scorso. Solo Cristo, non come puro nome o dottrina, ma come avvenimento presente è all’altezza del cuore di ogni uomo. Come grida al mondo papa Francesco, è Cristo, Cristo vivo, la «sorgente della vera pace»: per i russi, gli ucraini e noi.