Cosa Nostra, la curva vota Kakà

Articolo da “Il Manifesto” del 7/6/2009 di Davide Milosa
Gli avvertimenti della Sud dopo l’inchiesta sulle estorsioni e gli striscioni contro Maldini La contestazione degli ultras rossoneri tra processi, calciomercato e elezioni
Pretendono rispetto, promettono voti politici in cambio di favori e fanno minacce in diretta tv. Un atteggiamento che puzza tremendamente di mafia. Eppure in questo caso i protagonisti sono gli ultras del Milan, più banditi che tifosi. Per loro la Curva sud è «Cosa nostra», come recita una scritta recentemente apparsa sui muri di S.Siro. Lì sopra, al secondo anello blu dello stadio, da almeno tre anni nulla si muove senza l’assenso di Giancarlo Lombardi, detto Sandokan, boss criminale e capo di un’associazione a delinquere recentemente rinviata a giudizio per una tentata estorsione alla società di via Turati. In quell’inchiesta si fa riferimeno ai biglietti da estorcere con le minacce, mentre tre giorni fa davanti alla sede del Milan, gli uomini di Lombardi hanno parlato di voti elettorali. Perché Sandokan oltre a controllare gli affari della curva sud e gestire gli interessi di noti bar nel centro di Milano, gira in Ferrari e orienta le opinioni politiche di molti curvaioli. E così chi era in via Turati, lo ha sentito nei cori degli ultras e lo ha letto sui cartelloni. Chiarissimo lo slogan: «Voto Podestà solo se resta Kakà». Il riferimento è alle elezioni della Provincia di Milano, che si chiuderanno questa sera, e al candidato del Pdl Guido Podestà che giovedì, durante il comizio finale, ha avuto il sostegno diretto del premier. Per questo gli uomini della Digos interpretano quelle parole più come una concreta minaccia che come un semplice sfogo scherzoso di tifosi che si vedono sfuggire il loro miglior giocatore: il brasiliano Ricardo Kakà in procinto di passare al Real Madrid per 70 milioni di euro.
La grave situazione è molto ben presente ai vertici societari che già avevano annusato l’aria in occasione della sciagurata contestazione a Paolo Maldini durante la sua ultima partita a S.Siro. In quel caso, quelli della Sud, che come recita un’altra scritta fuori dallo stadio «non sono ultras ma mafiosi», imputavano al giocatore il mancato rispetto nei loro confronti. E’ nota a tutti, infatti, l’insofferenza del capitano rossonero verso quella parte di tifoseria. Una posizione sacrosanta quella di Maldini che però al Milan pochi seguono. A partire dal futuro capitano Massimo Ambrosini che lo scorso Natale assieme ad Adriano Galliani è stato fotografato durante una festa dei Guerrieri ultras, gli stessi che hanno minacciato e fatto finire il vicepresidente del Milan sotto scorta. Incredibile, ma vero.
C’è di più: in quegli scatti, Galliani è ritratto in amabile chiacchiera con Luca Lucci, all’epoca reggente per conto di Lombardi della Curva sud. Oggi Lucci è sotto processo per aver sfondato un occhio a furia di pugni a un tifoso dell’Inter durante l’ultimo derby di campionato. E tanto per non farsi mancare nulla fu proprio lo stesso Lucci, nel 2006, a prestare la sua Clio nero a Luigi Cicalese, killer della ‘ndrangheta che il 31 ottobre di quello stesso anno uccise a Segrate l’avvocatessa Maria Spinella.
Insomma, i fatti sono noti, i personaggi anche. Eppure tutti a Milano fanno finta di nulla. A partire dallo stesso Galliani che ha così commentato il suo silenzio rispetto alla contestazione di Maldini: «Il silenzio è l’arma più efficace per non dare ulteriore spazio a condotte di questo tipo». Un atteggiamento disarmante e simile, nella sostanza, a quello che gli amministratori pubblici avevano a Palermo negli anni ottanta. Allora, la città era dilaniata dalla guerra di mafia, ma per loro il vero problema era il traffico. E dunque, far finta di niente sembra la soluzione migliore. Lo fa la società che così si tutela davanti al rischio di perdere preziosi elettori per le Provinciali ma anche per le Europee, dove il candidato del Pdl è lo stesso presidente del Consiglio (e del Milan!) Silvio Berlusconi. Ma lo fanno anche i giornalisti e le televisioni locali che vivono di calcio milanese sette giorni alla settimane e dunque sanno tutto: gli affari di mercato, ma anche quelli delle curve. Eppure senza battere ciglio mandano interviste o addirittura invitano in trasmissione personaggi come Giancarlo Lombardi e Giancarlo Capelli, più noto come il Barone, anche lui imputato per estorsione.
Ecco allora i fatti: alle 14 di venerdì va in onda la striscia sportiva di Telelombardia, si tratta della nota trasmissione Qsvs (Qui studio a voi stadio) che ogni domenica segue le partite con collegamenti dallo stadio e divertenti dibattiti in studio tra ex giocatori e cronisti sportivi. Comunque sia, i due giornalisti, Gianluca Rossi e Nicola Porro, dopo aver commentato gli ultimi movimenti di mercato, lanciano il servizio sulla contestazione dei tifosi milanisti per la cessione di Kakà. Prima passano immagini di cori e fumogeni, dopodiché le interviste. E qui la cosa si fa surreale, perché volti e voci sono quelli di Lombardi e del Barone. «Il Milan deve restare una squadra mondiale – ha detto il Barone – e non può permettersi di non comprare nessuno». E ancora. «Due ore fa ho parlato con Kakà». Addirittura. «La colpa non è sua – ha chiosato Lombardi – ma della società». Parole che sanno tanto di minaccia. Eppure non è la prima volta. Già in occasione dei fischi a Paolo Maldini, il Barone era intervenuto al telefono durante la trasmissione Qsvs, ribadendo il diritto dei tifosi di contestare la società.
Per capire meglio la gravità del fatto, ecco quello che scrive il pm di Milano Luca Poniz a proposito dei due imputati nel processo per le minacce estorsive al Milan. «Giancarlo Lombardi è il capo indiscusso del gruppo dei tifosi organizzati denominato Guerrieri Ultras, costituito con modalità e caratteri proprio dell’associazione crimonosa, anche in relazione al riconosciuto profilo criminale di Lombardi». Non meno grave l’identikit del Barone, figura storica del tifo rossonero con ottime entrature in società e amici illustri come Galliani e il presidente Berlusconi. Scrive il magistrato: «Giovanni Carlo Capelli, alias il Barone, ha il ruolo di coadiutore del Lombardi, suo alleato, intermediario ed emissario del Lombardi presso il Milan nel tentativo di legittimazione negli organi ufficiali della società stessa mediante pressioni, dirette e indirette, nonché consigliere di Lombardi per i comportamenti illegali da tenere».

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