Fonte: Manifesto del 13/8/2009 di Davide Milosa
Cosa nostra e cannoli a Baggio. Pizza, cocaina e camorra tra Ponte Lambro e via Mecenate. Birra benedetta dal racket della ‘ndrangheta verso la Comasina. Ancora siciliani al Corvetto, calabresi nel fortino di via Flaming a San Siro, a Quarto Oggiaro, in viale Sarca. Poi l’hinterland industriale di San Donato dove un chilometro di strada, dritta, a fondo chiuso, circondata da palazzi popolari, è diventato il regno della Stidda. Ecco la mappa dei quartieri tenuti sotto scacco da almeno 15 clan mafiosi tutti italiani.
Milano chiede aiuto, ma la politica non risponde. Altro a cui pensare: ordinanze antialcol, furiose battaglie contro i writers e l’evergreen di un allarme sicurezza perennemente arenato sul problema extracomunitari.
Intanto le periferie soffocano, inondate di droga e stritolate nella morsa di una sempre più radicata sottocultura della illegalità. Perché, al di là dei nomi nobili della criminalità organizzata, quello che preoccupa è il dilagante controllo mafioso di certe zone.
Al Corvetto, ad esempio, la gestione del territorio parte dal basso, dalle gang di giovanissimi: tredici anni massimo, prima sentinelle e poi corrieri della droga. Sognano scene da Padrino, sedotti dalla violenza dell’estrema destra milanese e dalle gesta dei grandi boss. Nomi come quelli del palermitano Guglielmo Fidanzati, legato al mandamento di Resuttana, qui incutono timore e rispetto. Siamo in piazza Bonomelli, mentre a un centinaio di metri, in viale Ortles, operano gli eredi di Vittorio Mangano, l’ex stalliere di Silvio Berlusconi. Cambiano i nomi, non i legami, che restano strettissimi. Come ha dimostrato l’ultima operazione antimafia condotta dal pm Ilda Boccassini su un traffico di droga tra Milano e Palermo con epicentro proprio al Corvetto. La base era il bar La Rosa blu della famiglia D’Amico che scandiva modi e tempi dello spaccio.
Nella stessa inchiesta è stato arrestato il palermitano Giovanni Di Salvo, conoscente di uno degli ultimi padrini milanesi, Giuseppe Porto, legato alla famiglia di Pagliarelli del latitante Gianni Nicchi e artefice di una joint venture mafiosa con la ‘ndrangheta del clan Morabito.
Dopodiché il Corvetto sono strade, piazze, palazzi. Tutte zone da spartirsi in nome dello spaccio: ci sono, ad esempio, gli Schettino, origine napoletana, ma investitura (mafiosa) calabrese, che dettano legge nei palazzi popolari di via dei Cinquecento: gestione Aler, 621 alloggi, il 10% occupati abusivamente soprattutto da italiani.
Stessa edilizia popolare in via Uccelli di Nemi a Ponte Lambro, quartiere satellite strappato alla città dalla tangenziale. Qui sono 220 gli alloggi con un 8% di abusivi. La droga resta il piatto forte, da spacciare sotto i portici scrostati e imbrattati di scritte. In questa zona comandano le famiglie calabresi originarie del quartiere Archi di Reggio Calabria. Poco più in là verso via Mecenate il testimone malavitoso viene raccolto dal clan napoletano dei Costanzo, gente in odore di camorra che gestisce bar e pizzerie.
A nord della città, il quartiere della Comasina, già terra di conquista del bandito Renato Vallanzasca, è sotto il controllo della cosca Flachi. Giuseppe Flachi, detto don Pepè, è in carcere. E così a gestire gli affari, soprattutto racket e pizzo, sono i suoi parenti. Il marchio è quello della ‘ndrangheta legata al padrino Franco Coco Trovato. Mafia ad alto livello, dunque che, però, strizza l’occhio a personaggi del neofascismo milanese, abilissimi nel reclutare bassa manovalanza per minacciare, intimidire, estorcere.
Il binomio estrema destra e mafia è una delle novità che emergono dalle ultime inchieste. A Quarto Oggiaro, per esempio, il clan mafioso dei Crisafulli ha contatti diretti con i fascisti del centro sociale Cuore Nero. In questo quartiere, fino a poco tempo fa, i clan Carvelli e Tatone si dividevano le piazze di spaccio. Ma dopo l’arresto del boss Mario Carvelli, calabrese di Petilia Policastro, il mercato dello spaccio viene gestito dai napoletani Tatone sotto il controllo dal carcere dei fratelli Crisafulli, Biagio e Alessandro.
In altri casi, come per il fortino di via Fleming, il mix mafia e neofascismo si contamina con la sottocultura degli ultras del calcio. Siamo in via Novara, a due passi dallo stadio Meazza. Nomi e cognomi sono ben noti e rimandano alla potente cosca calabrese dei Sergi, a loro volta legata con i Barbaro-Papalia di Platì. Il ras della zona, già coinvolto nell’omicidio del figlio di un boss della ‘ndrangheta legato ai Morabito, frequenta le tribune del Milan ed è legato a Giancarlo Lombardi capo criminale della curva rossonera con buone entrature nel clan Vottari di San Luca e una non nascosta passione fascista. Nel gennaio 2007 partecipò commosso ai funerali del terrorista nero Nico Azzi.