Un piatto di minestra, un po’ di carne, acqua minerale non gassata, niente caffè e niente vino. Menù identico a pranzo e a cena, che quel signore anziano chiedeva ogni giorno. Al ristorante La Pesa ci entrava sempre alla stessa ora, sceglieva sempre lo stesso tavolo, il penultimo in fondo, sempre la stessa posizione, seduto con le spalle alla porta, sempre lo stesso amico.
Abitudini da latitante. Sì, perché quell’uomo dai modi gentili, ma riservati era Gaetano Fidanzati, 74 anni, padrino dell’Arenella e ambasciatore di Cosa nostra a Milano arrestato il 5 dicembre in una delle più note vie dello shopping del capoluogo lombardo.
Don Tanino, un fantasma ormai da oltre un anno, nell’ultimo mese e mezzo ha abitato proprio qui, a Parre, piccolo centro della Val Seriana non distante da Clusone nella Bergamasca. Un pugno di case calate nella penombra ghiacciata della valle con le montagne innevate laggiù in alto e il sole che in questa stagione fa capolino solo per pochi minuti. Un luogo desolato, fatto di case e fabbriche che scorrono sui lati della statale 35.
Siamo a un’ora da Milano. Qui si trova l’ultimo covo di uno dei boss più rispettati e temuti di Cosa nostra. Un luogo introvabile e nascosto lungo i tornanti che si attorcigliano attraverso boschi di abeti e castagni. Sul cartello sta scritto via della Libertà. Il civico è il 6. Si alza la testa e si incoccia in un’enorme villa: grosse pietre a vista, intonaco bianco, persiane di legno scuro, due piani, seminterrato, legnaia, piante da frutto, parco e alberi secolari. Vicino al tavolo, che occupa quasi tutta la terrazza, ci sono ancora alcuni mozziconi di sigarette, le amate Merit del boss.
Il proprietario della casa è un tale Bruno Bianchi, ex tassista di Milano. Uno che è andato in pensione da qualche anno e che questa villa l’ha costruita da solo. In realtà, a quanto rivelano i vicini, lui qui ci viene poco. «La casa – dice una signora – poteva restare chiusa anche per un anno». Una volta forse, perché in effetti, a partire dalla scorsa estate, al numero 6 di via della Libertà si nota uno strano via vai. C’è gente, ci sono macchine di grossa cilindrata. E poi c’è quell’uomo. «Robusto, sui cinquanta, arrivava con un Chrysler grigio, parlava sempre al cellulare». È l’amico del boss, quello che lo accompagna al ristorante, probabilmente, dicono gli investigatori, si tratta di Graziano Bianchi, il figlio del proprietario della villa.
In via della Libertà, la squadra mobile guidata dal dottor Alessandro Giuliano, ci è arrivata per caso lunedì sera. «Una vicina – dice Giuliano – ha riconosciuto Fidanzati alla televisione e ci ha chiamato». Gli investigatori, dunque, scoprono il covo a due giorni dall’arresto. «Troviamo una casa – sono le parole dello stesso capo della squadra mobile – completamente ripulita». Già chiusa e abbandonata. Tanto che per entrare bisogna passare dal piccolo garage trasformato in un magazzino per gli attrezzi. Un locale minimo, ingombro di tutto. Ci sono scarpe, abiti, seghe, martelli, pezzi di legno. Da qui si accede alla casa attraverso una scaletta a chiocciola. Pochi istanti di buio e si viene catapultati in mezzo a un enorme salone con un soffitto alto quasi cinque metri. La sensazione è quella di trovarsi sotto le volte di una strana basilica.
Qui ha abitato Gaetano Fidanzati. Dopodiché, uno sguardo a 360 gradi dà subito l’idea di una luogo vasto. Sulla sinistra c’è una lunga scala che porta al primo piano. Di fronte si apre invece un grande camino. I pavimenti sono di marmo. L’arredo è vecchio, ma non antico con mobili degli anni Cinquanta, tavoli di legno laccato con centrini ricamati e foto di un matrimonio. E lassù piantato in mezzo al soffitto, un grande lampadario di ferro battuto.
Tutto vive in un’inquietante penombra. Sul tavolo della cucina si nota lo scontrino della spesa fatta il 28 ottobre al Parigi market di Ponte Nossa: un succo Sterilgarda, del miele di acacia e del caffè Illy. Qualcuno, poi, il 30 ottobre deve aver fatto benzina a Milano per arrivare qua. Vicino ai fornelli c’è la ricevuta del bancomat.
In cima alle scale si percorre un breve corridoio che si apre in un piccolo saloncino. Ci sono molti libri impilati, una vecchia televisione a transistor e due letti ancora sfatti. Quasi certamente la zona dove ha dormito il boss. Vicino ai cuscini, appoggiato sul comodino, si nota, poi, un Corriere della Sera. «Sfida in aula sul pentito…». L’edizione è quella del 4 dicembre, il giorno della deposizione del pentito Gaspare Spatuzza al processo contro il senatore azzurro Marcello Dell’Utri.
In questa villa Gaetano Fidanzati ha vissuto fino al giorno prima dell’arresto. Venerdì scorso, infatti, come sempre ha fatto pranzo e cena a La Pesa. Non prima di essere andato alla chiesa del Sacro Cuore lì a Parre per accendere una candela. Dopodiché l’arrivo a Milano, l’arresto in via Marghera e il trasferimento nel carcere di San Vittore dove ieri è stato interrogato dai pm di Palermo. Davanti ai magistrati, don Tanino è rimasto silenzioso come le valli Bergamasche che per mesi lo hanno protetto.
Fonte articolo: “Il Manifesto” del 9/12/2009 di Davide Milosa
Fonte foto: Repubblica.it