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Riflessioni sull'esito del congresso CGIL

Un collega delegato FIOM, mi tiene sempre aggiornata mandandomi articoli di giornali su varie questioni sindacali. Ha un po’ più di tempo da dedicare alla rassegna stampa e alla lettura. Questo articolo, di Giorgio Cremaschi, l’ho letto e lo condivido. Non so quale sia la fonte quindi su quale giornale sia stato pubblicato.
La mia riflessione personale è ma io proprio in un momento così complesso sia a livello nazionale sia a livello aziendale mi dovevo mettere a fare la delegata sindacale?

Va dato atto a Guglielmo Epifani di avere, nelle sue conclusioni al XVI Congresso della Cgil, chiarito seccamente i dissensi con la mozione 2 e con la maggioranza della Fiom. Naturalmente si può sempre rimarcare il fatto che solo alla fine del percorso congressuale le differenze siano state riconosciute come tali. Per gran parte del congresso, invece, esse sono state negate dalla maggioranza, che ha preso i suoi voti anche in nome dell’unità della Cgil di fronte a una divisione considerata incomprensibile. Meglio tardi che mai, ma ovviamente non è lo stesso che se gli iscritti fossero stati messi dall’inizio di fronte alla scelta che è stata chiarita alla fine. (…)
Guglielmo Epifani ha detto che su due punti di fondo in Cgil ci sono linee diverse. Il primo riguarda il giudizio e le scelte da compiere rispetto all’accordo separato sul sistema contrattuale, il secondo la questione dell’unità e il suo rapporto con la democrazia sindacale. Accanto a questo il segretario della Cgil ha sottolineato come le differenze si siano anche tradotte in scelte e comportamenti diversi, con categorie che hanno fatto accordi unitari e non hanno rivendicato la democrazia sindacale e altre, a partire dalla Fiom che invece hanno subito accordi separati e rotto con Cisl e Uil.
Ora il congresso ha scelto e lo ha fatto non solo con gli interventi, ma con gli umori, i fischi prima, gli applausi dopo. Il congresso ha scelto di aprire alla Cisl, alla sua linea politica, al suo modello sindacale e di considerare di conseguenza l’esperienza della Fiom un elemento minoritario con cui fare i conti anche statutariamente. La Cgil abbandona così la posizione politica e sindacale assunta nell’ultimo decennio. Quella per capirci che accompagnava i momenti di unità con Cisl e Uil a una linea autonoma di iniziativa lotta. La Cgil rompe con questa fase decennale e sceglie di ritornare nel carro di Cgil, Cisl e Uil.
Questo nel nome della necessità di fare gli accordi, di evitare conflitti fini a sé stessi, con la paura dichiarata più volte di restare nell’angolo. E’ significativo che l’applauso più caloroso raccolto da Epifani nelle sue conclusioni sia stato quando egli ha condannato i conflitti che durano troppo a lungo senza risultati.
Una storia si conclude, quella che ha visto la Cgil assumere una funzione di punto di riferimento dell’opposizione sociale del paese. Questo ruolo è stato esplicitamente rifiutato perché, si accusa, confinato in una sterile resistenza. Ora la Cgil si prepara a ricostruire i rapporti unitari con Cisl e Uil e, sulla base di questi, a trattare con il Governo e con una Confindustria che non è mai stata citata, né nel bene né nel male, negli interventi del segretario generale.
Una linea di questo genere potrebbe avere un senso se fossimo alla vigilia , o dentro, una grande ripresa economica. Accodarsi al moderatismo di Cisl e Uil nel momento in cui le fabbriche assumono e i salari crescono perché tutta l’economia riparte, potrebbe essere una scelta opportunistica, ma realistica. La realtà, però, è che la crisi si aggrava e lo fa soprattutto nella sua dimensione sociale. L’Europa interviene a sostegno dei bilanci della Grecia e degli altri paesi a rischio, ma chiede sacrifici umani sul piano delle politiche sociali contrattuali e dei diritti. In più l’Italia è percorsa dalla follia del federalismo che, in un momento di crisi, significa inevitabilmente frantumazione e secessione. Una Cgil che proprio in questo momento decide di moderarsi e ridimensionarsi è quanto di peggio può capitare al mondo del lavoro nella crisi sociale. In questo senso la svolta del congresso è un puro atto di irrealistica debolezza, che accrescerà l’arroganza delle controparti e la tentazione in Cisl e Uil di far pagare al più grande sindacato italiano tutte le scelte del passato.
Il fatto che questa svolta moderata si accompagni a un irrigidimento autoritario dello Statuto, che nei fatti ripristina il centralismo democratico nella formazione delle decisioni più importanti, segnala che la maggioranza dell’organizzazione vive la propria svolta in una condizione di disagio e incertezza.
Per la prima volta da dieci anni la Cgil dice esplicitamente alla Fiom: “Dove c’è la Fiom non c’è la Cgil” e questo prepara momenti difficili, sia per i metalmeccanici sia per tutte e tutti coloro che intendono opporsi a come viene gestita la crisi oggi.
In ogni caso questa è la svolta e con essa bisogna misurarsi. La mozione di minoranza e la maggioranza della Fiom hanno ora di fronte a sé una responsabilità rilevante. Possono accettare questa deriva e gestirla il un piccolo cabotaggio della contrattazione nei e dei gruppi dirigenti. Oppure, come hanno fatto votando contro alle conclusioni del congresso, possono rivendicare esplicitamente un’altra linea di opposizione e resistenza sociale e organizzarla nel dissenso esplicito con la maggioranza.
Il vero vincitore del congresso della Cgil è il segretario della Cisl Bonanni. Sta ora alla minoranza organizzarsi in maniera tale da far sì che le contraddizioni di questa vittoria emergano rapidamente.

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