Fonte: Il fatto quotidiano del 10 maggio 2010 di Davide Milosa
Al via l’ultimo processo alla mafia in Lombardia. Al centro un enorme traffico di cocaina e non solo. Tra gli imputati Daniele Formisano, nipote dell’ex fattore di Silvio Berlusconi. In aula depone il pentito Angelo Chianello.
Il pentito snocciola fatti, riannoda date, dipinge scenari. Lo fa in modo sgrammaticato, ma del tutto efficace. E mentre parla, una delle due persone nel gabbione se la ride, ammicca ai familiari, allarga le braccia. Capelli a spazzola, giubbotto e jeans scuri, si chiama Daniele Formisano ed è uomo di Cosa nostra legato al mandamento palermitano di Porta Nuova. Uno della colonia milanese insomma, che in tasca si porta una dote di non poco conto: è il nipote di Vittorio Mangano, l’ex fattore di Silvio Berlusconi. Lasciapassare decisamente interessante che, negli anni, lo ha portato a stringere rapporti, oltre che con il gotha mafioso sotto la Madonnina, anche con il mondo della finanza, addirittura arrivando a incrociare gli affari del senatore azzurro Marcello Dell’Utri.
Oggi però alla sesta sezione del Tribunale di Milano si è parlato di cocaina trafficata a chili lungo la rotta Milano-Palermo. Formisano è uno dei protagonisti. L’altro, invece, è Luigi Bonanno. Anche lui nella gabbia, maglione verde, jeans e due baffetti rifiniti alla Clark Gable. In videoconferenza da Palermo assiste Tommaso Lo Presti, detto il lungo, già reggente del mandamento mafioso di Porta Nuova. Eccoli, allora, i protagonisti dell’ultimo grande processo all’avamposto lombardo di Cosa nostra. Processo partito nel solito silenzio mediatico. Per sottolineare di nuovo e ancora che a Milano la mafia non esiste.
Eppure il pentito continua a parlare e ciò che si annusa è tutt’altro. Ad esempio una fittissima rete di boss e luogotenenti che in riva al Naviglio concludono affari milionari. Perché le parole di Angelo Chianello, palermitano e collaboratore di giustizia dal 2008, sono come piccoli tasselli che vanno a comporre un foschissimo mosaico. Si capisce, ad esempio, che a Milano c’è spazio per tutti. Per la ‘ndrangheta e anche per Cosa nostra che negli ultimi anni sta rialzando la testa. “Daniele Formisano – dice Chianello in aula – è il nipote di Vittorio Mangano, l’ex fattore di Silvio Berlusconi. Lo conosco nel 2004”.
Anno in cui sale a Milano con un solo obiettivo: “Fare il traffico di droga”. Il progetto è chiaro, gli appoggi anche: “Luigi Bonanno che a Palermo conoscono tutti come un grande trafficante di droga”. Eppure quando il pentito sale al nord il suo primo contatto è con Daniele Formisano. “Lui lavorava con le figlie di Vittorio Mangano”. Nel settore delle cooperative di facchinaggio. Eppure Chianello va a lavorare da un’altra parte, ma “sempre con gente di Palermo”.
Dopodiché ecco riassunto istante per istante la compravendita della cocaina (“Circa sette chili ogni dieci giorni”, conta Chianello), con boss del calibro di Nino Nuccio, luogotenente di Salvatore Lo Piccolo, in trasferta milanese per vedere Inter-Palermo e concordare la partita di “roba” da spedire in Sicilia. Gli accordi vengono presi nella tabaccheria della figlia di Luigi Bonanno. Sorta di ufficio affondato nella periferia milanese, perfettamente mimetizzato tra il cemento di palazzi popolari.
Qui Chianello fa il manovale della droga seguendo gli ordini di Luigi Bonanno. Qui compaiono i volti del gotha mafioso. A partire da quel Turi Cangelosi, cognato dell’ex superlatitante Gaetano Fidanzati, arrestato il 5 dicembre 2009 nel pieno centro di Milano. Non mancano broker della cocaina come il messinese Pietro Amante e il palermitano Gioacchino Matranga, anche lui arrestato da latitante la notte di capodanno, un tempo legato a esponenti di primo piano del Partito socialista. La Squadra Mobile, grazie all’imbeccata dei Servizi segreti lo ha fermato al quartiere Corvetto, storico avamposto meneghino di Cosa nostra.
“Migliaia di chili di cocaina”, questo dice Chianello raccontando i piani degli amici siciliani. C’è Luigi Bonanno, ma c’è anche Ugo Martello, padrino di rango, oggi in galera, ma per oltre trent’anni capace di navigare a vista nell’intricata rete dei rapporti tra mafia, politica e finanza. Lo stesso Martello che negli anni Ottanta riciclava denaro per conto di Cosa nostra e incontrava Marcello Dell’Utri negli uffici di via Larga a due passi da piazza Duomo. Di nuovo loro, dunque. E con loro Daniele Formisano, nipotino dello stalliere e uomo di riferimento al nord, arrivato a Milano a metà anni Novanta per sostituire Enrico Di Grusa, genero di Mangano, all’epoca latitante. Una brutta storia quella, sulla quale tentò di fare luce il pm Maurizio Romanelli.
Al centro i fiancheggiatori della latitanza di Di Grusa, al lato i rapporti con industriali e politici, come Natale Sartori, dominus delle cooperative e Marcello Dell’Utri. Nome, quello del senatore del Pdl, che ritorna negli ultimi interrogatori milanesi di Chianello. “In mezzo c’è pure Dell’Utri”, dice Chianello. Di seguito la nota del verbale: “Daniele Formisano gli aveva detto che le ricchezze dei Mangano derivavano dall’aiuto di Dell’Utri”. Di più: “Gli aveva anche detto che Dell’Utri aveva interesse nelle cooperative dei Mangano la cui sede si trovava in viale Ortles a Milano”. Non solo. “C’era anche un’altra cooperativa il cui titolare era un messinese che gli aveva presentato Formisano e che queste cooperative erano una cosa sola”. Gli investigatori non hanno dubbi: quel messinese è Natale Sartori. La storia del processo a Cosa nostra milanese, dunque, è appena iniziata. I colpi di scena non mancheranno, perché oltre alla droga sul piatto sembra esserci ben altro.