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Introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione: forse non tutto è perduto

Fonte: www.riforme.net

Sembrava ormai cosa fatta, ma il nuovo rinvio del voto alla prossima settimana fa tirare un sospiro di sollievo ai partecipanti del sit-in che si è tenuto ieri pomeriggio davanti al Senato.
Un’altra settimana, e non è poco, per cercare di rompere il muro di silenzio che è stato innalzato per nascondere ai cittadini l’approvazione della modifica costituzionale per introdurre il pareggio di bilancio in Costituzione.
Una mobilitazione per lo più spontanea, senza una vera organizzazione alle spalle, ma che vede aumentare, di giorno in giorno, gli appelli contro lo stravolgimento della Costituzione; o per chiedere, quanto meno, che il Parlamento del Porcellum abbia la decenza di non approvare la modifica con la maggioranza dei due terzi, e questo per consentire ai cittadini di poter raccogliere le firme per richiedere il referendum costituzionale confermativo ai sensi dell’art. 138 della Costituzione:
“Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”

È difficile capire se il nuovo rinvio sia stato dovuto a qualche crepa che potrebbe essersi aperta nello schieramento compatto dei sì che ha contrassegnato le tre precedenti votazioni, due alla Camera ed una al Senato, ma dei segnali che lasciano ben sperare in effetti ci sono.
Nel breve dibattito che si è svolto nella mattinata, il Sen. Pardi dell’IDV è stato l’unico, peraltro in dissenso dalle scelte del proprio partito, a ribadire le critiche di merito al provvedimento e ad invitare i colleghi Senatori ad un gesto di democrazia per non impedire, appunto, la richiesta del referendum confermativo.
Ma vista quest’unica voce nel deserto, gli interventi dei Senatori Ceccanti e Morando, entrambi del PD e ferventi sostenitori dell’introduzione del vincolo economico, sono sembrati rivolti non tanto alle altre forze politiche, tutte già schierate per il voto favorevole, quanto al proprio interno, forse proprio con l’intento di frenare l’insorgere di qualche dubbio di troppo tra i colleghi di partito.
Il Sen. Ceccanti si è soffermato, in particolare, sull’art. 138 della Costituzione, per spiegare che il ricorso al referendum confermativo per le modifiche costituzionali è soltanto una possibilità estrema. L’opzione fisiologica e preferenziale prevista dai costituenti sarebbe, infatti, l’approvazione delle modifiche costituzionali con la maggioranza dei due terzi. Vista, quindi, l’autorevolezza di un Parlamento che per ben tre volte ha già votato la modifica della Costituzione a larga maggioranza, non vi sarebbero motivi validi per accogliere la richiesta di un voto tecnico per permettere lo svolgimento della consultazione popolare.
I pochi Senatori intervenuti successivamente al Prof. Ceccanti non hanno ripreso il tema, per cui, al momento, non è possibile sapere che cosa gli altri Senatori del PD avranno modo di replicare di fronte alla banale constatazione che l’attuale Parlamento dei nominati, per di più eletto con logica maggioritaria e soglie di sbarramento prima inesistenti, non è certo l’Organo effettivamente rappresentativo che i nostri costituenti ci avevano lasciato in eredità.
Nei prossimi giorni, pertanto, vedremo che tipo di risposta verrà data su questo punto lasciato in sospeso. Tutto dipenderà, ovviamente, da quanto il movimento di opinione, contro lo scippo di democrazia che il Parlamento del Porcellum si sta apprestando a compiere, riuscirà a crescere

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