Rileggevo stamattina l’inizio del 3o capitolo dell’enciclica Fratelli tutti e ho capito ancora una volta la fatica che si fa a seguire questo Papa.
Al n. 88 il Papa scrive: “Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi «una specie di legge di “estasi”: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere».
Come a dire che l’amore non è un precetto, uno sforzo da compiere controvoglia; tantomeno un sentimento, un’emozione. L’abbiamo ridotto così l’amore. Per questo ci è così estraneo e incomprensibile. L’abbiamo ridotto a qualcosa che non fa più parte di noi e semplicemente perché l’abbiamo addolcito, non è più la stoffa con cui siamo fatti. Non è più insomma la natura del nostro io. Eppure quando guardiamo un bicchiere sappiamo dire la sua natura, la sua fattezza, sappiamo riconoscere il vetro o il cristallo di cui è fatto e anche il suo scopo, la sua funzione, cioè il perché del suo esserci.
Invece, quando guardiamo noi stessi non sappiamo riconoscere niente. Sappiamo leggere tutto, ma davanti alla meraviglia che siamo noi, ci sentiamo analfabeti. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci insegni di nuovo l’abc di noi stessi, che ci dica di che siamo fatti e ci restituisca, così, quella pace che tanto sospiriamo.
Il Papa dice che siamo fatti per l’amore.
Se non ci riappropriamo di nuovo della stoffa del nostro essere e quindi di quello di ogni altro uomo, non sarà possibile trovare un’altra via d’uscita da questo nulla in cui siamo precipitati o in cui stiamo precipitando, anche per l’effetto nefasto di questo Covid.
E la via d’uscita ce l’ha offerta Cristo. Come?
Il mio pensiero è andato subito a lui, mentre è sulla croce, e ha di fianco a sè il buon ladrone. Chissà la fatica che avranno fatto tutti e due a parlarsi, tra quei tormenti indicibili. E Gesù, sentendo la domanda di Disma (la tradizione dice che il buon ladrone aveva questo nome), non esita a dirgli: “oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 23,43).
Ecco l’amore. Questo è l’amore. Che cosa Gesù ha amato di Disma? Quella domanda: “Gesù, ricordati di me…” (Lc 23,42). Disma capiva che la sua vita era finita e che tutto quello che aveva fatto, tutti i delitti commessi, non l’avevano portato a niente, ma nello stesso tempo capiva, intuiva che non era fatto per questo. Capisce che Gesù, solo lui, poteva tirarlo fuori dal nulla eterno e restituirgli il suo vero volto, la sua dignità e non esita a gridare a lui.
Anche oggi è così, nè più nè meno.
Non siamo noi a decidere qual’è la stoffa della vita, tantomeno a decidere che quella stoffa è l’amore.
Lo dobbiamo imparare di nuovo da Cristo.
Senza questo rischio non si esce fuori da niente.