Riporto qui di seguito la lettera di Pietro Ingrao indirizzata all’Unità e pubblicata oggi.
In un Italia dove è alta la percentuale delle persone che non sanno che cosa rappresenti il 25 aprile, è necessario è importate ricordare , far ricordare non dimenticare.
“Caro Direttore, consentitemi qualche considerazione sulla polemica che si è accesa intorno al fatto che nel documentario proiettato in piazza dal Comune di Roma (a cura dell’assessore Croppi, mi sembra) in occasione del 21 Aprile fosse inserita una immagine di Mussolini che annunciava l’entrata in guerra dell’Italia a fianco di Hitler.
In verità la presenza di quell’immagine non aveva suscitato in me nessuna collera. Riguardava un evento reale e per giunta un evento che poi aveva portato a quel dittatore solo sconfitta e vergogna, e infine l’aveva condotto a una morte disperata.
Se mai quell’apparizione ha suscitato in me un’altra domanda: che diceva quel volto – teso e feroce – ai tanti, ai giovani prima di
tutto, che lo vedevano sullo schermo? Io avevo timore non già che vedessero e sapessero, ma anzi che non sapessero. Non sentivo bisogno di silenzio, ma di parole.
E questo chiederei ancora adesso all’assessore Croppi e al sindaco di Roma Gianni Alemanno che avevano portato in quella traordinaria piazza romana quel volto.
Caro direttore, io non ho paura che si evochino quei nomi,ma anzi che essi siano poco evocati, se mai solo con l’esibizione di un volto.
E dico: facciamo le pure vedere quelle immagini, e non solo dal balcone su una piazza, ma per ciò che sono state nella storia di milioni e milioni di esseri umani Quanto c’è da raccontare su quel volto e sui suoi amici e alleati stretti, strettissimi: Hitler per
esempio! Non solo mostrare i volti, ma raccontare ciò che hanno fatto.E- attenzione – non solo raccontare la stretta vicenda bellica,l’urto degli eserciti, ma l’inaudito che l’ha accompagnato. E il racconto di quell’inaudito non è riassumibile in una immagine, e nemmeno solo affidarlo alla storia delle battaglie – che pure furono lunghe, durarono anni, e traboccarono in Asia e in Africa; potremmo dire: investirono il mondo.
Non ci furono solo morti (tanti) in battaglia. Fu inventata – dagli amici stretti di Mussolini – una strage più penetrante e «scientifica
»; furono scelte sedi speciali, metodi articolati di massacro. Si chiamarono camere a gas, forni della morte, e portavano a fosse
comuni: per ogni età; da vecchi a fanciulli, e sempre secondo tecniche fantasiose, mai conosciute prima.
Insomma un trattamento particolare dei corpi e delle anime: una nuova scienza: del patimento e dello scomparire dalla terra.
Ecco ciò che mi ricorda quel volto di Mussolini. E io non chiedo, non voglio che sia nascosto. Anzi – assessore Croppi, sindaco Alemanno – raccontate davvero – e sino in fondo – chi furono, che «inventarono» quel volto, quelle figure riapparse nelle piazze romane.
Su. Andiamo insieme nelle scuole romane, e – con la dovuta delicatezza – raccontiamo le invenzioni dei massacri che hanno
segnato il nostro secolo. A Roma, questa capitale con le sue sorprese incredibili: si faccia organizzatore testardo il Comune di Roma
di visite spiegate alle Fosse Ardeatine, e ai tanti bizzarri sepolcri che ha conosciuto questo secolo.
Perciò io non chiedo oscuramento, o silenzio. Anzi mettiamo nomi. Facciamo vedere volti e corpi.Frughiamo nei campi della memoria.
Fra pochi giorni sarà la data del 25 aprile. E ci sarà da rievocare – a tanti che oggi non lo sanno -il senso della parola: partigiani; e
quale fu non solo la sofferenza, ma l’invenzione della partigianeria, il messaggio consegnato a noi da coloro che non ci sono più.
Io provo sempre un certo stupore quando apprendo che i miei nipotini studiano le guerre persiane, la battaglia di Maratona… E
non arrivano quasi mai a studiare insieme l’innovazione grandiosa nei modi dell’uccidere avvenuta nel secondo conflitto mondiale.
Eppure ci furono testimoni indimenticabili. A Roma è stato esposto il volto di Mussolini. Io metterei una teca dove porre non un volto, ma un libro. Si intitola «Le lettere dei condannati a morte della Resistenza ». Sono testi ultimi. Brevissimi: scritti a volte pochi momenti prima della morte.
Fra pochi giorni – potremmo dire fra poche ore – l’Italia ricorderà, celebrerà il 25 di aprile. Avanzo una proposta: che per quella data
tutti i cosiddetti maggiorenti di questa nazione vadano in una scuola italiana a recare in classe una copia di quel libro.”