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In via padre Monti quattro generazioni sotto il segno della criminalità

da: il Manifesto del 29-8-2009 di Davide MilosaViaPadreLuigiMonti
Dopo la denuncia di Sos-racket acquisito dalla questura il video sulla compravendita delle case da parte delle cosche
Una, due, tre pedalate e la bici inizia a correre veloce. Luca tiene la testa bassa. La maglietta dell’Inter si gonfia sulla schiena. Cento metri e si ferma davanti a un uomo. Dalla tasca dei bermuda estrae un paio di bustine di roba. Consegna e rimonta in sella. Gli amici lo aspettano al parchetto. Cavallino della droga a soli 13 anni. Tanti ne ha Luca. Lui vive in via Padre Luigi Monti a Milano, quartiere di malavita in mano al clan palermitano dei Pesco: balordi di periferia con aspirazioni da mafiosi che gestiscono spaccio e racket di appartamenti abusivi.
Qui la mala è un sedimento antico di almeno quattro generazioni. Ci sono nonni, padri, figli e poi ci sono i bambini come Luca, Marco, Simone, Paolo, Giorgio (i nomi sono di fantasia), tutti tra i 9 e i 13 anni, che fanno batteria assieme, sognando di diventare, un giorno, dei piccoli boss.
Lo sguardo strafottente già inclina i morbidi lineamenti del volto. Hanno modi violenti. Gesti e parole per tutti. Crescono in strada e imparano molto presto a farsi rispettare. Il loro ritrovo è il parchetto pubblico di via Val Cismon. Qui si danno appuntamento. Giocano a pallone? Affatto. Preferiscono distruggere i giochi messi dal Comune. Loro rompono e l’amministrazione pubblica paga. E chi prova a mettersi di mezzo lo fa a proprio rischio e pericolo.
Marco, ad esempio, deve compiere dieci anni, ma ha già il piglio del capo. Lui, come gli altri, è in giro dalle otto della mattina fino alle due di notte. In via Luigi Monti lo conoscono in molti. Pochi provano a dirgli qualcosa. Lo ha fatto una signora anziana. «Vieni giù che ti taglio la gola», è stata la risposta di Marco che subito dopo, rivolto a un amico, ha sussurrato. «Passami il coltello». Un altro inquilino si è ritrovato il vetro di casa rotto da una sassata.
Chi, in questa zona, vive onestamente, ha paura anche di loro. Sa che i genitori, pregiudicati e coinvolti in affari illeciti, oltre a spalleggiarli davanti a chi li sgrida, li utilizzano per mandare minacce e intimidire. Pochi giorni fa, Simone, su ordine del padre, ha armeggiato con il coltello nella casella di posta di un inquilino, reo di aver discusso con il genitore.
Dopodiché ci sono i furti: primo gradino per farsi strada nella malavita. E così, i cinque fanno la spola tra via Padre Luigi Monti e la piscina Scarioni. Qui fanno incetta di cellulari, bici e motorini. Tutta roba che i grandi provvedono a ricettare.
E poi c’è la droga. Un ricco affare, orchestrato da una insospettabile signora e gestito dalle auto in sosta con tutto il circo di cavalli e pusher. Uno degli spacciatori, legato al clan Pesco, ha l’abitudine di scendere in strada per vendere la roba con in braccio il figlio di appena quattro anni.
La situazione in cui vivono questi bambini è devastante, l’assenza delle istituzioni fa il resto. In via Monti non c’è un centro sociale o un qualsiasi luogo di aggregazione. Esiste una chiesa e un oratorio. «Ma il sacerdote – racconta un residente – più volte ha chiesto ai genitori di non mandare quei bambini».
Intanto, dopo la denuncia di Frediano Manzi (presidente della Associazione sos-racket e usura) sul racket degli appartamenti la procura di Milano ieri ha aperto un fascicolo. La questura, su imput diretto del questore Vincenzo Indolfi, ha acquisito filmato e intercettazione dell’incontro tra Giovanna Pesco e un uomo dell’associazione di Manzi.

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