Un benzinaio in piazzale Corvetto, un bar in corso Lodi e un commercialista in via Ripamonti. Sono questi i luoghi che negli ultimi tempi hanno tenuto a battesimo la nuova alleanza tra Cosa nostra e ‘ndrangheta sotto la Madonnina. Un’alleanza giocata sulla rotta Africo-Palermo, tra la potente cosca Morabito e il mandamento di Porta Nuova. Un nome, quest’ultimo, di grande attualità oggi, visto che un tempo fu il regno di Vittorio Mangano, l’ex fattore di Silvio Berlusconi e antico amico di Marcello Dell’Utri. Ed è proprio sulle attività degli eredi milanesi di Mangano che si appuntano le attenzioni degli investigatori. E non solo per mettere a fuoco i contorni di questa holding siculo-calabrese. Tra i vari nomi dell’inchiesta, infatti, ce ne sono alcuni che portano al periodo delle stragi del 1993. Nomi che, già in passato fu dimostrato, ebbero stretti rapporti, da un lato con i vertici Fininvest e dall’altro con i capi di Cosa nostra. Relazioni pericolose tornate d’attualità grazie alle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza.
L’alleanza, dunque. Il sospetto è che dietro a castello societario costituito da imprese di pulizia e di facchinaggio si celi un vorticoso giro di fatture false messo in piedi per creare fondi neri. Per capire, allora, bisogna andarci al Corvetto. Osservando, magari da lontano, quel benzinaio Esso. Così fanno gli investigatori che il 10 ottobre 2007 filmano e annotano uno strano via vai di personaggi. Gli scatti ritraggono il giovane boss di Africo Salvatore Morabito, un altro imprenditore calabrese e il palermitano Giuseppe Porto, detto Pino il cinese «Uomo vicino alla famiglia mafiosa palermitana di Pagliarelli e a Giovanni Nicchi». Il bello, però, deve ancora venire. Perché ogni tanto al gruppo si aggiunge un’altra persona. Si tratta di Enrico Di Grusa, il genero di Vittorio Mangano, già latitante e legato a doppio filo con il mandamento palermitano di Porta Nuova.
A Milano, oggi, i Di Grusa hanno interessi nelle cooperative di facchinaggio, grazie ai legami con le figlie di Vittorio Mangano. E di facchinaggio si occupa anche Pino Porto. Mentre i suoi rapporti con i Di Grusa risalgono indietro nel tempo. Di cooperative, guarda caso, si interessano anche gli imprenditori vicini a Salvatore Morabito. Tutte coincidenze? Affatto, almeno stando a quanto scrivono gli investigatori: «Porto risulta legato, per comuni investimenti nella gestione di cooperative di facchinaggio, a Salvatore Morabito e a Enrico Di Grusa». E del resto Pino il cinese, Morabito lo conosce almeno fino dal marzo 2003, epoca in cui, il Ros di Reggio Calabria, li filma ai tavolini del bar Golden in corso Lodi. Non sono soli, ma in compagnia di altri imprenditori leader nel settore del facchinaggio e le cui società si appoggiano a un commercialista calabrese in via Ripamonti.
Sull’epilogo di questa vicenda pesa, poi, un’ombra ingombrante, quella delle stragi e della seconda presunta trattativa che Cosa nostra avrebbe portato avanti con i nuovi referenti politici usciti dalle elezioni del 1994. Così, spulciando nel passato recente di uno di questi protagonisti si arriva a sfiorare un oscuro comitato d’affari composto da imprenditori, politici e mafiosi. Ne parlò già Giovanni Brusca nel 1997. «Seppi dai giornali delle amicizie che il Mangano aveva al nord. Mangano mi disse che aveva gestito l’azienda della Villa di Silvio Berlusconi, che l’amicizia era rimasta, ma i fili si erano un po’ rotti. In particolare io stesso, per il tramite di Mangano, tentai di riprendere questi fili, e venni interrotto poi dal mio arresto. Il Mangano mi parlò anche di un suo amico imprenditore al Nord, titolare di una impresa di pulizia, che era in rapporti con Berlusconi e poteva fare da tramite con quest’ultimo».
Fonte: Il manifesto del 6/12/2009 di Davide Milosa