Dal 2004 si trovava in libertà vigilata. E fino a due giorni fa Ugo Martello, uomo d’onore e ascoltato referente di Cosa nostra a Milano, girava da persona libera. Poi questa sentenza, letta venerdì dal gip di Milano: 15 anni per estorsione. Il pm ne aveva chiesti 16. Ma poco cambia per Martello che oggi a 69 anni vede riaprirsi davanti a sé l’incubo del carcere. Colpevole di aver estorto centinaia di migliaia di euro a Giancarlo Ongis, imprenditore bergamasco caduto nella rete della mafia a causa di un suo personale azzardo, il tentativo di crearsi fondi neri con il gioco delle fatture false. A Ongis è andata male. Ma certo Martello, imputato anche in un altro processo, non si aspettava una pena così severa. Che farà ora? Deciderà di parlare o di tenere per sé i segreti accumulati in 40 anni di mafia all’ombra del Duomo?
Perché a Milano lui ci arriva da latitante negli anni ’70. Qui si fa chiamare Tanino. È l’epoca dei primi pericolosi contatti con la classe dirigente dell’allora capitale morale d’Italia. In città ci sono mafiosi che sparano e altri che, smessa la coppola, si siedono dietro a scrivanie di società apparentemente pulite. Lui, Tanino, è uno di questi. Dominus di un ufficio al civico 13 di via Larga, proprio dietro a piazza Duomo. Lì all’ultimo piano hanno sede diverse società intestate a prestanome, ma tutte riferibili a quel Tanino, che i magistrati ribattezzeranno colletto bianco di Cosa nostra. In quel periodo, poi, un tale Vittorio Mangano fa avanti indietro tra la villa di Silvio Berlusconi e il centro di Milano. Quando arriva in città non manca mai di andare a salutare Tanino. Via Larga 13 è il punto di riferimento per Cosa nostra. Qui ci passano Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti, Mimmo Teresi, Gaetano Cinà e un noto uomo d’affari siciliano: Marcello Dell’Utri. Ne parla il pentito Angelo Siino: «Fu durante un viaggio a Milano. Aspettavo sotto gli uffici in via Larga e ho visto uscire Marcello Dell’Utri assieme a Martello». Ma di Tanino racconta anche il pentito Francesco Di Carlo nell’ambito dell’incontro con Berlusconi. Prima di andare dal Cavaliere, gli uomini di Cosa nostra vanno in via Larga. «Questo ufficio era una società. Là mi incontravo con Ugo Martello». Dopodiché parla Filippo Rapisarda, finanziere siciliano coinvolto in un processo per bancarotta. «Quando Dell’Utri lavorava negli uffici di via Chiaravalle venivano a trovarlo Ugo Martello, Stefano Bontate e Gaetano Cinà».
Da allora sono passati oltre 20 anni, eppure Martello resta un punto di riferimento per Cosa nostra. Elegante e riservato, non ha mai cambiato la sua residenza nel centro di Milano. Sposato con una maestrina della buona borghesia milanese, per un certo periodo, a partire dal 2004, ha anche fatto il volontario all’ospedale Fatebenefratelli. Ed è qui che gli agenti della Squadra mobile lo filmano, in camice bianco, mentre incontra pregiudicati e uomini legati ai clan. Tra loro c’è Federico D’Agata, ex proprietario del Malastrana rossa, noto ristorante di Brera oggi ritrovo di Guglielmo Fidanzati, figlio di quel Gaetano arrestato da latitante a Milano il 5 dicembre. Quel sabato Fidanzati doveva incontrare Domenico Papagna, usuraio pugliese che, guarda caso, è in stretti rapporti con Martello. Oggi, poi, tra gli amici di Tanino non c’è più Bontate ma uno come Beniamino Zappia, referente milanese del clan Rizzuto di Montreal. O anche quel Luigi Bonanno incaricato da Salvatore Lo Piccolo di uccidere Gianni Nicchi.
Fonte : Il Manifesto del 20 Dicembre 2009 di Davide Milosa