Graviano vede la luce Stop all'isolamento diurno

Giuseppe Graviano lo aveva detto l’11 dicembre scorso in collegamento dal carcere milanese di Opera con l’aula bunker di Torino. «Risponderò quando il mio stato di salute me lo permetterà». Allora parlò suo fratello Filippo, smentendo le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. Un bel colpo a favore di Marcello Dell’Utri, imputato di quel processo d’Appello, secondo atto di una vicenda che ha già visto il senatore azzurro condannato a 9 anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.
Bene, a tre settimane da quel passaggio interlocutorio, Giuseppe Graviano, in carcere dal 27 gennaio 1994, si vede tolto l’isolamento diurno. Non il 41 bis. La decisione è stata presa ieri dalla terza sezione della Corte d’assise di Palermo. I giudici hanno motivato questa scelta con il superamento del tetto di tre anni previsto dalla legge. Da oggi, dunque, Graviano, accusato di essere l’organizzatore delle stragi del 1993, tornerà ad avere contatti con altri detenuti durante il giorno.
Ma certo non si possono dimenticare le parole dell’11 dicembre. Parole cui il boss fece seguire una lettera. «In 16 anni di detenzione al 41 bis – scrive il padrino di Brancaccio – ne ho espiati più di 10 in isolamento. Nei miei confronti c’è un accanimento ingiustificato». A breve, dunque, Graviano, come scrive lui stesso, dovrebbe informare «l’Illustrissima Corte d’Appello per rispondere a tutte le domande».
Potrebbe essere in quell’occasione che il boss si giocherà il famoso “jolly” di cui va parlando da mesi lo stesso Gaspare Spatuzza. «In sostanza – dice il pentito – questa possibilità che i Graviano hanno di riferire l’interlocutore politico implicato nelle stragi è come un jolly». Un asso nella manica conosciuto, a dire di Spatuzza, solo dai Graviano, da Riina e da Matteo Messina Denaro. Eppure, secondo alcune fonti investigative, la verità di cui sarebbe depositario Giuseppe Graviano non riguarda solo gli anni che precedettero le stragi, ma abbraccia un periodo molto più lungo e che tocca i rapporti d’affari che per oltre vent’anni la famiglia di Brancaccio ha tessuto a Milano. Ecco, allora, quale sarebbe il vero ricatto di Cosa nostra al Presidente del consiglio. Svelare, se ancora è possibile, i folgoranti esordi da imprenditore di Silvio Berlusconi. «Filippo Graviano – racconta Gaspare Spatuzza – mi parlava come se fosse un suo investimento, come se la Fininvest fossero soldi messi da tasca sua». «Un giorno – dice Spatuzza sempre riferendo le parole di Filippo Graviano – glieli faremo noi i processi». Parole che sanno molto di minaccia per chi, come i Graviano e con loro i vertici di Cosa nostra, si è sentito tradito dopo la trattativa del ’93 e oggi non ha certo preso bene le parole di Berlusconi sulla lotta alla mafia. «Voglio passare alla storia come il presidente del consiglio che ha distrutto la mafia». E così non le bombe, ma gli affari, sembrano la chiave di volta per fare luce su questo mistero. Affari di mafia. E non a Palermo, ma a Milano.
I soldi, dunque. Quelli dei Graviano ad esempio. «In quasi vent’anni hanno costruito un patrimonio immenso», dice Spatuzza che poi aggiunge: «Non gli hanno sequestrato niente, nemmeno cento lire e sono ricchissimi». E proprio di quei soldi l’estate scorsa i magistrati hanno chiesto conto a Filippo Graviano. «Non ne parlo e mi dispiace non poterne parlare», è stata l’enigmatica risposta del boss. È un fatto, invece, che i due fratelli proprio a Milano, città dove hanno passato l’ultima latitanza, ricevevano il denaro da Palermo. A dirlo è il pentito Salvatore Spataro: «Noi siamo andati là sopra per consegnare dei soldi a Giuseppe Graviano».
In attesa che il presunto ricatto sveli i primi passi da palazzinaro del premier, tenuti a battesimo agli sportelli della banca Rasini, sul processo al senatore Marcello Dell’Utri si allunga minacciosa l’ombra di altri due pentiti. Si tratta di Pietro Romeo e Giovanni Ciaramitaro, entrambi luogotenenti dei Graviano. Sentito nel lontano 1996 e quindi ancora prima che Gaspare Spatuzza venisse arrestato, Ciaramitaro racconta che un mafioso importante, Francesco Giuliano, gli raccontò confidenze ricevute dagli stessi Graviano. «Berlusconi è amico nostro, è quello che ci serve per aggiustare le leggi sulle carceri. Quando diventerà presidente del consiglio ci farà le leggi». Di più. Giuliano avrebbe detto: «Noi dobbiamo fare le stragi e poi Berlusconi proporrà di togliere il 41 bis». Anche Pietro Romeo raccoglie le confidenze di Giuliano e alla domanda di Romeo sul perché delle stragi del 1993, il mafioso risponde «che prima di essere arrestato Giuseppe Graviano aveva raccontato a Giuliano e ad altri che bisognava fare gli attentati di Roma Firenze e Milano e che un politico a Milano gli diceva che così andava bene e che dovevano mettere altre bombe».

Fonte: Il Manifesto del 2/1/2010 di Davide Milosa

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