“Fratelli tutti”: un inno alla cattolicità

Con questa nuova enciclica “Fratelli tutti” Papa Francesco vuol tendere la mano a chi, dentro la pandemia, si è perso e vuol ritrovare la strada perduta. E non lo fa con un discorso, ma indicando e ripresentando una persona che, nella storia, ha obbedito all’invito di Gesù di riparare la sua Chiesa: Francesco d’Assisi. E’ stato lui, all’inizio del secondo millennio, a tendere la mano a quanti volevano ritrovare la strada del Vangelo. Non solo: ha voluto portare la sua bellezza a chiunque, senza distinzioni di razza o di lingua, come quando si recò dal Sultano d’Egitto per annunciare anche al mondo islamico la bellezza di Cristo.

Qualcuno ha osservato che questa è l’Enciclica della fine della civiltà cristiana e della Chiesa cattolica apostolica romana. Per qualcun altro è destinata ad accrescere il conflitto nel mondo cattolico, a dividere più che mai con la scusa di una verità (la fratellanza) che si presta a troppe interpretazioni contraddittorie. Per qualcun altro ancora essa è solo “il manifesto di un’altra religione. C’è il deismo, l’indifferentismo (eresia che Papa Gregorio XVI definì “perversa opinione”), un pizzico di panteismo e un quintale di islam di fronte al quale ci si inginocchia. C’è di tutto, meno la divinità di Cristo” (Il Foglio 10 ottobre 2020).

Se il testo fosse letto per intero e con il cuore aperto ci si accorgerebbe dell’esatto contrario.

Oggi soltanto con il pronunziare la parola “cattolico” si rischia di essere tacciati come faziosi, fanatici, di parte e intolleranti, ma semplicemente perché è scomparso quasi del tutto il suo significato vero.

La Chiesa, oggi, non soffre di meno rispetto al tempo di Francesco e una delle sofferenze sta in quella terribile “divisione” tra sacro e profano, che caratterizzava e caratterizza ancora le religioni non cristiane.  E’ sacro tutto ciò che mette in diretto rapporto con il divino, è profano tutto ciò che con il divino non c’entra. Questa posizione è lacerante perché si deve sempre scegliere tra ciò che è di Dio e ciò che non lo è. Se si sceglie Dio si possono avere alcune cose e ma se ne perdono tante altre; se si scelgono le altre, si perde Dio e non si ha mai tutto. Si è sempre in perdita e mai in pace perché, comunque, siamo fatti per il tutto, per abbracciare tutto. E ne viene come conseguenza una vita lacerata, disperata fino a quando non si incontra Cristo, in cui c’è il “tutto”. Non c’è più il sacro e il profano: c’è solo il vero. E la verità di ogni cosa è che ogni cosa è segno di Dio perché è creatura Sua!

Amando le cose fino in fondo si ama Dio, come faceva Francesco, e non si deve più scegliere; finalmente si può abbracciare tutto. Per Francesco la povertà non era buttar via le cose, ma avere come unica ricchezza la verità delle cose, cioè Dio. E quello che allontana da lui non sono mai le cose, ma è la superficialità che si ferma all’apparenza e non va mai fino in fondo. Francesco ringraziava Dio perfino del sasso su cui era seduto.

Questo abbraccio del “tutto”, del diverso, in greco si dice katholikós (cattolico): katà (secondo)  οlon (tutto). È la dimensione del tutto, l’abbraccio a tutto, questa è l’esperienza cristiano-cattolica che nella Chiesa sta venendo sempre meno. Ne è un segno l’ingiustificato allarmismo per questa enciclica che invece di costruire muri o imporre dottrine getta un ponte anche con il mondo islamico, come è già avvenuto lo scorso anno ad Abu Dhabi in quell’incontro memorabile tra Papa Francesco e Ahmad al-Tayyeb, il Grande Imam di al-Azhar. E pensare che quel gesto dovrebbe essere il gesto nostro abituale che, oggi, sa accogliere i rifugiati, gli immigrati, un gesto capace di offrire speranza e avvenire a chi li ha perduti. 

Nell’enciclica il Papa parla del sogno di una società fraterna, perché «solo l’uomo che accetta di avvicinarsi alle altre persone nel loro stesso movimento, non per trattenerle nel proprio, ma per aiutarle a essere maggiormente sé stesse, si fa realmente padre» (FT 4). Anche nel mondo di Francesco c’erano le torri di difesa, i muri, le divisioni tra famiglie potenti e crescevano i poveri, gli emarginati, ma è proprio lì che Francesco vive la vera pace di Cristo, facendosi ultimo tra gli ultimi e cercando di vivere in armonia con tutti.

Nell’esperienza di Francesco si ritrovano, dunque, le ragioni di questa enciclica e la grandezza della sua portata per i giorni nostri.

Padre Giuseppe

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